La superficie della tavola, di forma quadrata, è completamente intarsiata con varie essenze lignee, che conferiscono varietà cromatica, dai toni marroni più chiari a quelli più scuri, alla decorazione. Questa è costituita da forme ovali, a fiore o a losanga nella cornice esterna, mentre all’interno, motivi geometrici con decorazioni ad intreccio o floreali rendono il decoro simile a quello di un tappeto. Al centro si trova un ottagono con lo stemma del committente, attorno al quale si dispongono quattro ovali, contenenti cartigli su cui sono iscritti i versi latini «FRVGALITAS VOLVP/TATI IMPERET» [la frugalità regola il piacere], «TEMPERANTIA CORPORIS, / ANIMAE[QVE] CERTISSIMA SALVS» [la temperanza del corpo e dell’anima è salute sicura], «NATVRA EXIGVO PARA/BILIQVE CONTENTA» [la natura è contenta del poco e del semplice] e «VOLVPTATES ABEVNTES / SI SAPIS COGITA» [se sei saggio considera la caducità dei piaceri]. Lo stato di conservazione dell’opera è compromesso. Sotto le numerose lacune è possibile però intravedere il supporto sottostante, composto da tre tavole sulle quali sono i segni preparatori delle parti a intarsio cadute.
A realizzare quest’opera per il cavaliere gerosolimitano fra Sabba da Castiglione (Milano, c. 1480- Faenza 1554), umanista e appassionato antiquario, collezionista e mecenate, che dal 1515 prende possesso e dimora nella Commenda di Faenza, è il suo amico fraterno, il domenicano frate intarsiatore Damiano Zambelli nel 1543. La data di realizzazione trova conferma nella scritta in cifre romane visibile a malapena sul lato destro («A[D] M[D]LII[I]»). Insieme alle creazioni di altri artisti, poste da fra Sabba ad arredo ed ornamento del suo studiolo, che era situato presso il campanile della chiesa di Santa Maria Maddalena della Magione a Faenza, la tavola intarsiata è elencata da egli stesso nei suoi Ricordi, overo ammaestramenti (pubblicati nel 1561), nel capitolo dedicato agli «ornamenti della casa». Ispirate a Seneca e, in accordo con la filosofia stoica cristiana, le quattro massime latine, iscritte a tarsia sulla superficie, esortano l’individuo alla moderazione, alla sobrietà e al controllo, e richiamano alla funzione di tavola da mensa dell’oggetto. Figura nel primo testamento di fra Sabba, redatto nel gennaio 1546, come «quadrettum unum (a mensa) ligneum (opera quidem non Humana sed divina potius)» [Un quadretto (a tavola) ligneo (certamente un’opera non umana, ma piuttosto divina)], assieme ad altre opere del maestro domenicano in suo possesso, ed ora perdute, due pannelli con Teste di santi, i cosiddetti “quadri di tarsia”, e una piccola daga con manico intarsiato. La tavola è poi menzionata nel secondo e ultimo testamento di Sabba da Castiglione, dettato nel 1550, dopo la morte dell’amico: «mensam unam, quadrum nuncupatam, intersiatam, manu eiusdem fratris Damiani» [una tavola, chiamata quadro, intarsiata a mano dallo stesso fratello Damiano]. Oltre alla tavola da mensa, la Pinacoteca di Faenza conserva alcuni pezzi d’arredo della dimora di Sabba da Castiglione alla Commenda, ovvero «una urna antica di alabastro orientale, con alcune vene di calcedonio», nominata tale nei Ricordi, il busto in marmo di San Giovannino, attribuito a Benedetto da Maiano, e il rilievo in terracotta con San Girolamo in preghiera di Alfonso Lombardi.