Madonna col Bambino in trono, San Giovanni Evangelista, il Beato Jacopo Filippo Bertoni e quattro angeli
Faenza, Santa Maria dei Servi; con le soppressioni napoleoniche entra nelle collezioni del comune; 1879 è esposta in Pinacoteca
La Vergine Maria, con in braccio Gesù, è seduta al centro, su un ricco trono, attorniata da quattro angeli musicanti, mentre ai lati sono raffigurati, in ginocchio, San Giovanni Evangelista (a sinistra) e il Beato Jacopo Filippo Bertoni (a destra). Quest’ultimo, vestito con l’abito nero dell’Ordine dei Servi di Maria, si riconosce dal pallido viso fortemente smagrito e dal nimbo raggiato proprio dei beati. Nativo di Faenza, morì nel 1483 a soli ventinove anni, dopo aver condotto una vita dedita ai digiuni e alle penitenze.
La tavola proviene dalla chiesa, oggi sconsacrata, di Santa Maria dei Servi a Faenza, luogo in cui venne sepolto in odore di santità Jacopo Filippo Bertoni, più precisamente nella cappella concessa per l’occasione da Galeotto Manfredi, signore di Faenza.
Non si conosce il nome dell’autore della pala, il cui stile raffinato si ispira alla pittura padovana e ferrarese del Quattrocento. In tempi recenti si è ipotizzato che essa possa essere stata realizzata dal faentino Leonardo di Zanino Scaletti o da Giovanni da Oriolo.
La Vergine Maria, con in braccio Gesù, è seduta al centro su un ricco trono in pietra rosa retto da colonnine bronzee e posto sopra un piedistallo poligonale. La sommità del trono è decorata da scultore dorate raffiguranti delfini, conchiglie e candelabri, mentre sui braccioli sono scolpiti a bassorilievo due busti di profeti e due scene della Genesi: Adamo ed Eva che colgono il frutto proibito e la cacciata dal Paradiso Terrestre. Tali episodi rimandano al tema del Peccato Originale, mentre al futuro sacrificio di Cristo e alla sua Resurrezione allude la rondine tenuta in mano dal bambino (l’uccello, infatti, ritornando in Primavera e annunciando così il risveglio della Natura dopo i lunghi mesi invernali, venne tradizionalmente associato al trionfo di Cristo sulla morte). Attorno al trono sono presenti quattro angeli musicanti, mentre ai lati sono raffigurati, in ginocchio, San Giovanni Evangelista (a sinistra) e il Beato Jacopo Filippo Bertoni (a destra). Quest’ultimo, vestito con l’abito nero dell’Ordine dei Servi di Maria, è connotato da un pallido viso fortemente emaciato. Nativo di Faenza e morto il 25 maggio del 1483 a soli ventinove anni, il beato condusse infatti una vita rigorosissima e fortemente dedita ai digiuni e alle penitenze (per un’analisi approfondita delle fonti riguardanti la biografia del Bertoni si veda Colombi Ferretti 2013, pp. 35-43). Dietro i personaggi si staglia, al centro, un grande arco marmoreo classicheggiante, mentre sullo sfondo si intravede un paesaggio brullo, popolato da personaggi e contraddistinto dalla presenza di rovine antiche, di monti dai profili aguzzi e di curiose architetture sospese su archi.
La tavola proviene dalla chiesa, oggi sconsacrata, di Santa Maria dei Servi a Faenza, luogo in cui venne sepolto in odore di santità Jacopo Filippo Bertoni (che venne tuttavia riconosciuto come beato solo nel 1761: Tambini 2009, p.53). La venerazione cittadina per il servita era così forte che, dopo che gli erano state organizzate esequie solenni, il signore di Faenza Galeotto Manfredi concesse ai Bertoni per la sepoltura del loro congiunto la propria cappella in Santa Maria dei Servi, dedicata a San Giovanni Evangelista: un’abile mossa politica per ingraziarsi, oltre che il popolo, il potere religioso locale. La presenza del Bertoni e di San Giovanni Evangelista ha indotto a pensare che la tavola oggi in Pinacoteca si trovasse proprio in tale cappella (Tambini 2009, pp. 53-54).
L’opera si distingue per uno stile raffinato ed estremamente complesso, frutto di diverse suggestioni artistiche, certamente favorite dalla particolare posizione geografica di Faenza. Come è stato notato anche in studi recenti (Tambini 2009 p. 54, Cavalca 2011 p. 146), la luce tersa che illumina la scena deriva infatti da quella presente nei dipinti di Piero della Francesca, mentre gli angeli musicanti, di sapore paganeggiante, richiamano esperienze padovane, dalle sculture di Donatello ai dipinti di Squarcione e Marco Zoppo. Se Alessandro Conti (1989, p. 15) vedeva un’influenza di Melozzo da Forlì nel volto del San Giovanni Evangelista, Anna Tambini (2009, p. 54) ha individuato nella figura della Vergine un ricordo dei modelli del fiorentino Biagio d’Antonio, che nel 1483 aveva licenziato la grande pala per la chiesa faentina di Sant’Andrea in Vineis (ora in Pinacoteca, inv. 124). A partire da Pietro Toesca (1907, p. 18) la maggior parte degli studiosi ha sottolineato i richiami allo stile del ferrarese Francesco del Cossa, in particolare nella figura del Bambino avvolto in fasce (Tambini 2009, p. 55) e nello sfondo, chiara citazione delle scene visibili alle spalle del San Pietro e del Battista nei due pannelli laterali (oggi alla Pinacoteca Brera di Milano, inv. 1182-1183) del Polittico Griffoni, eseguito da Francesco del Cossa tra il 1472 e il 1473 con la collaborazione di Ercole de Roberti e un tempo visibile in San Petronio a Bologna.
Non essendo firmata e non essendo noto un documento di commissione, nel corso di più di un secolo gli studiosi hanno cercato di sciogliere il quesito su chi sia stato l’autore della Pala Bertoni (l’avvincente vicenda critica è stata ripercorsa nei dettagli recentemente da Anna Colombi Ferretti, 2013, pp. 5-26). Grazie a Gian Marcello Valgimigli (1871, pp. 10-11) è noto agli studi che il 1° giugno 1483, una settimana dopo la morte del Bertoni, il pittore faentino Leonardo di Zanino Scaletti venne pagato una lira “per la dipintura del Beato Jacomo Philipo cioè quello che è sopra all’altare e per una spalera in la corte”, come risulta nel Registro delle Entrate e delle Uscite del convento servita di Faenza. Valgimigli rifiutò di collegare la Pala Bertoni con l’opera posta sull’altare e menzionata dal pagamento, giudicando impossibile l’esecuzione di una pala di grandi dimensioni nei sette giorni seguenti la dipartita del beato. L’associazione, che era già stata proposta dal cronista locale Bernardino Azzurrini (1542-1620), come riportato dai Padri Bollandisti nel capitolo dedicato al Beato Bertoni negli Acta Sanctorum (1688, pp. 175-176), fu invece ripresa senza dubbi da Federico Argnani (1881, pp. 7-8) nel primo catalogo della Pinacoteca faentina. Toesca (1907) dimostrò di condividere gli stessi dubbi di Valgimigli e considerando la tavola di un anonimo maestro faentino del Quattrocento, la associò a un Ecce Homo, proveniente dalle raccolte della Banca del Monte di Faenza e conservato nello stesso museo (Casadei 1991, p. 44, n. 84). Se tale proposta ha trovato concorde praticamente tutta la critica successiva, non si può dire lo stesso per altre associazioni fatte dallo studioso nella stessa occasione, come ad esempio quella con la Madonna col Bambino in trono e due santi, oggi alla National Gallery of Scotland di Edimburgo (inv. 1634). Tale opera presenta una composizione effettivamente ricalcata dalla zona centrale della pala Bertoni (si vedano il trono e i due putti di spalle, assolutamente identici), ma dai più è considerata oggi una derivazione successiva (non la pensa così Mosso 2023, p. 163) e soprattutto di altra mano, sebbene riconducibile comunque al contesto faentino di fine Quattrocento (Tambini 2009, pp. 59-61; Cavalca 2011, pp. 142-143).
Buscaroli (1931, pp. 255-264) ipotizzò che il pagamento allo Scaletti di una lira nel 1483 fosse da riferire a un dipinto devozionale perduto, di piccole dimensioni ed eseguito in fretta poco dopo la morte del beato. Secondo lo studioso, però, la Pala della Pinacoteca di Faenza sarebbe stata eseguita comunque dallo Scaletti, attorno al 1484. Sotto il nome di comodo di Scaletti essa compariva poi negli indici di Bernard Berenson (1932, p. 516) assieme ad altre opere. Roberto Longhi (1934, ed. 1956, p. 100), liquidando proprio tale gruppo redatto da Berenson, ritenne la Pala Bertoni opera di un qualche allievo dell’intarsiatore Cristoforo da Lendinara. Recentemente la Colombi Ferretti (2013) ha riproposto lo Scaletti come autore dalla tavola, che secondo la studiosa sarebbe da identificare nella “spalliera” citata dal pagamento del 1483 (Ivi, pp. 40-42). Tali proposte sono state giudicate condivisibili da Valerio Mosso (2023, p. 163), che tuttavia non ha accettato l’associazione fatta dalla studiosa con la Pietà con un devoto come S. Francesco e con l’Apoteosi di S. Orsola, opere conservate al Musée Jacquemart-André di Parigi (inv. inv. MJAP-P-2039 e MJAP-P 2247) e generalmente riferite a Francesco del Cossa (la prima) e a un suo seguace (la seconda). Fra le altre ipotesi attributive per la Pala Bertoni si segnalano quella di Ennio Golfieri (1991, pp. 18-19), che ha proposto il nome del giovane Lorenzo Costa e quella di Alessandro Conti (1989, p. 15), che ha invece collegato la pala al mondo della miniatura romagnola, trovando affinità in particolare con il maestro del Graduale D della Biblioteca Malatestiana di Cesena. Infine, Tambini (1991, pp. 15-18; 2009, pp. 53-62) ha ipotizzato con una certa cautela che l’autore della tavola possa essere stato Giovanni da Oriolo. Tale suggerimento ha trovato il sostegno di Roberta Bartoli (1999, p. 77, n. 25) e di Cecilia Cavalca (2011, p. 146).
La Pala Bertoni è ricordata anche dal poeta Dino Campana nella sua opera Taccuinetto faentino, pubblicata postuma nel 1960 a cura di Domenico De Robertis.
Acta Sanctorum 1688
Acta Sanctorum Maii, Tomus VI, Anversa 1688, pp. 175-176
ARGNANI 1881
F. Argnani, La Pinacoteca Comunale di Faenza, Faenza 1881, pp. 7-8
BARTOLI 1999
R. Bartoli, Biagio d’Antonio, Milano 1999, pp. 50, 77, n. 25
BERENSON 1932
B. Berenson, Italian pictures of the Reinassance. A list of the principal artistsand their works with an index of places, Oxford 1932, p. 516
BUSCAROLI 1931
R. Buscaroli, La pittura romagnola del Quattrocento, Faenza 1931, pp. 255-258
CAMPANA 1960
D. Campana, Taccuinetto faentino, a cura di D. De Robertis, Firenze 1960, pp. 28-30
CASADEI 1991
S. Casadei, Pinacoteca di Faenza, Bologna 1991, p. 5, n. 6
CAVALCA 2011
C. Cavalca, in Melozzo da Forlì. L’umana bellezza tra Piero della Francesca e Raffaello, catalogo della mostra a cura di D. Benati, M. Natale, A. Paolucci (Forlì, Musei San Domenico 29 gennaio-12 giugno 2011), Cinisello Balsamo 2011, pp. 144-146, scheda n. 19
COLOMBI FERRETTI 2013
A. Colombi Ferretti (a cura di), Dossier sulla Pala Bertoni, Faenza 2013
CONTI 1989
A. Conti, Saggio introduttivo, in Corali miniati del Quattrocento nella Biblioteca Malatestiana, a cura di P. Lucchi, Milano 1989, p. 15
GOLFIERI 1991
E. Golfieri, Problemi pittorici faentini, in “Il nostro ambiente e la cultura”, supplemento di “Faenza e mi paés”, 17, 1991, pp. 18-19
LONGHI 1934 [1956]
R. Longhi, Officina ferrarese (1934), in Edizione delle opere complete di Roberto Longhi, V, Firenze 1956, p. 100
MOSSO 2023
V. Mosso, in Rinascimento a Ferrara. Ercole de’ Roberti e Lorenzo Costa, catalogo della mostra a cura di M. Danieli, V. Sgarbi (Ferrara, Palazzo dei Diamanti 18 febbraio-19 giugno 2023), Cinisello Balsamo 2023, p. 163, scheda n. 30
TAMBINI 1991
A. Tambini, Pittura del secondo Quattrocento in Romagna, “Il nostro ambiente e la cultura”, supplemento di “Faenza e mi paés”, 19, 1991, pp. 15-18
TAMBINI 2009
A. Tambini, Il Rinascimento. Pittura, miniatura, artigianato, in Storia delle arti figurative a Faenza, vol. III, Faenza 2009, pp. 53-62
TOESCA 1907
P. Toesca, Di un pittore emiliano nel Rinascimento, “L’Arte”, 1907, pp. 18-24
VALGIMIGLI 1871
G. M. Valgimigli, Dei pittori e degli artisti faentini de’ secoli XV e XVI, Faenza 1871, pp. 10-11
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