Sigismondo Foschi (documentato dal 1520 al 1532),
Madonna col Bambino e i Santi Bartolomeo, Giovanni Battista e altri due Santi

La grande tavola era in origine sull’altare maggiore della chiesa di San Bartolomeo a Faenza. Nel 1811, in seguito alle soppressioni napoleoniche, fu inviata a Milano per la nascente Pinacoteca di Brera. E’ noto l’aneddoto riguardante il celebre artista Andrea Appiani che, incaricato dal governo napoleonico di requisire le opere d’arte per il nuovo Regno d’Italia, di fronte al dipinto avrebbe esclamato: “Che bel Bartolomeo!“, attribuendolo al fiorentino Fra Bartolomeo.
Nel 2002 l’opera è stata concessa a Faenza in deposito dalla Soprintendenza di Milano prima a Palazzo Milzetti poi, nel 2015, alla Pinacoteca Comunale.
Dei quattro Santi del dipinto due sono identificati in San Bartolomeo e San Giovanni Evangelista, mentre gli altri due restano ignoti.
Poichè della vita di Sigismondo Foschi non si hanno molte informazioni, racchiuse tra il 1520 e il 1532, quest’opera firmata e datata 1527 è particolarmente importante come riferimento per ricostruire le caratteristiche stilistiche del pittore. Noto per gli stretti rapporti tenuti con Firenze, l’opera conferma i riferimenti di Sigismondo Foschi nell’ambito di Fra Bartolomeo e Andrea del Sarto, caratterizzando l’uso del colore secondo i modi del primo Manierismo fiorentino.
Come ha scritto Anna Tambini in uno studio su Sigismondo Foschi pubblicato nel 2015 la pala:
mostra una perfetta assimilazione della poetica del Frate. Innanzi tutto nella resa dello spazio. Sull’esempio del celebre sfumato di Leonardo, divenuto normativo nella sintassi di Fra Bartolomeo, Foschi usa un chiaroscuro denso, pastoso, che annulla il rigore matematico della spazialità quattrocentesca e dà allo spazio un senso emozionante e vibrante attraverso il forte risalto dei trapassi di luce e di ombra. In secondo luogo, le figure dei Santi acquistano un nuovo spessore espressivo. Non sono più composti secondo le iconografie canoniche e ostentando gli emblemi usuali.
La loro riconoscibilità sembra non interessare al pittore, tanto che non sappiamo chi siano i due Santi in secondo piano. Ciò che gli preme è dare risalto all’umanità fisica e psicologica dei personaggi e rimarcarne il carattere e l’espressione. Solo il Battista è fedele all’iconografia tradizionale nel gesto di indicare il Bambino, in quanto è il precursore di Cristo, ma i Santi suoi compagni hanno una espressione severa e inquieta.
Questo non è certo un sereno quadretto di devozione; al di là della dolce figura materna della Vergine, trasmette un turbamento che riflette i drammatici eventi del tempo. La data è il 1527, l’anno del sacco di Roma, poco dopo l’affermarsi del protestantesimo luterano; è un tempo ormai segnato dalla crisi dei valori ottimistici del Rinascimento. Infine come in Fra Bartolomeo, notiamo nella composizione una ricerca di equilibrio, ma attraverso ritmi contrapposti. Tutto si gioca su simmetrie, corrispondenze, analogie. Alla scena centrale si contrappone in alto il coro degli Angeli; le figure di san Bartolomeo e del Battista chiudono il gruppo corrispondendosi con la stessa posizione a chiasmo; i due Santi in secondo piano stanno simmetrici ai lati della Vergine, volgendo le teste in maniera contrapposta.