SALONE DELLE PALE D’ALTARE
[su_spoiler title=”Presentazione” style=”fancy” icon=”plus”]Fin dal 1879 questo vasto ambiente è stato adibito ad ospitare le grandi pale d’altare dei secoli XVI e XVII che un tempo svettavano sugli altari delle più importanti chiese di Faenza.
Le dimensioni imponenti di queste opere trasmettono chiaramente l’idea della ricchezza decorativa degli edifici religiosi.
In prospettiva cronologica, una delle prime opere da citare è il Battesimo di Cristo di Luca Scaletti (Faenza, documentato dal 1531 al 1555), proveniente dalla distrutta chiesa del Convento di San Giovanni Battista, è intrisa di cultura mantovana in virtù dell’esperienza del pittore nei cantieri di Palazzo Tè e Palazzo Ducale sotto la guida di Giulio Romano.
Alla prima fase del Manierismo di derivazione toscana, aderisce Sigismondo Foschi (documentato dal 1520 al 1532), autore della Madonna col Bambino e Santi proveniente dalla chiesa di Santa Maria ad Nives. Il suo dipinto più noto però è la pala proveniente dalla chiesa di San Bartolomeo datata 1527, anch’esso rappresentante una Madonna col Bambino e Santi, in concessione sotto forma di deposito temporaneo dal 2002 dalla Pinacoteca di Brera, dove era stato trasportato in epoca napoleonica.
Un artista della stessa temperie culturale è Antonio Liberi detto Antonio Di Mazzone (Faenza, 1456 – 1534 ca.) a cui si deve la tavola, proveniente dalla chiesa di San Domenico, raffigurante la Madonna col Bambino e Santi, in cui il gruppo divino è inserito in un’architettura di ascendenza bramantesca, testimonianza della sua cultura di architetto e pittore lungamente attivo nelle Marche.
Le due tavole di Giacomo Bertucci detto Jacopone da Faenza (Faenza, 1502 – 1579) sono emblematiche di un Manierismo faentino di diretta derivazione romana: Deposizione del 1553 provienente dalla chiesa di San Rocco e Disputa sull’Incoronazione della Madonna e Santi, firmata e datata 1565 dalla distrutta chiesa dei Celestini.
Un dipinto, che fu oggetto di studi da parte di Roberto Longhi, è il Martirio di Sant’ Eutropio, tradizionalmente attribuito a Biagio(?) Manzoni, artista faentino di cui gli scarni dati biografici riferisco la sua presenza in città dal 1629 al 1648.
Al tardo Manierismo faentino aderiscono pienamente Nicolò Paganelli (Faenza, 1538 – 1620), Marco Marchetti (Faenza, 1528 – 1588) e Giovanni Battista Armenini (Faenza, 1533 – 1609).
Marchetti, famosissimo per l’abilità nel decorare ambienti con decorazioni “a grottesche”, dimostra nel Cristo in casa del Fariseo un tono austero tipico dell’atmosfera della Controriforma, mentre Paganelli, nella Presentazione di Gesù al Tempio, dimostra di saper costruire una composizione affollata e ricca di verve narrativa.
Accanto a questi esempi di pittura faentina, tra cui si deve citare anche la Nascita della Madonna di Giovanni Battista Bertucci il Giovane (Faenza, 1539 – 1614), si aggiunge l’Incoronazione delle Vergine e Santi, risalente allo stesso periodo, di Ercole Procaccini (Bologna, 1515 – Milano 1595), artista bolognese a capo di una fortunata bottega familiare, trasferitasi poi in Lombardia.
Interessanti esempi di opere ispirate ai principi della Controriforma sono la pala di Giovanni Battista Ramenghi, detto Bagnacavallo il Giovane (Bologna, 1521 – 1601), Discesa dello Spirito Santo con i Santi Petronio e Gregorio Magno, in origine posta nell’Oratorio dello Spirito Santo di Bologna e la tela con il San Francesco che riceve le Stimmate di Filippo BelIini (Urbino, 1550 ca. – Macerata 1603).
Entrando nel XVII secolo si possono ammirare due tele di ambito bolognese, nonchè due importanti opere di Alessandro Tiarini (Bologna, 1577 -1668), una Madonna col Bambino e Santi e la Conversione di San Paolo. Accanto a esse sono esposti quattro dipinti della maturità di Ferraù Fenzoni (Faenza, 1562 – 1645), senza dubbio uno dei maggiori artisti faentini del Seicento.[/su_spoiler]
[su_spoiler title=”Approfondimento: La pittura a Faenza nel Cinquecento tra Manierismo e Controriforma” style=”fancy” icon=”plus”]
A partire dal settimo decennio del XVI secolo, quando in Romagna si avvertono i tentativi da parte dei papi di riorganizzare economicamente e politicamente lo Stato pontificio sui nuovi canoni controriformati, la cultura figurativa romagnola si apprestava a godere dei frutti di una nuova cultura.
Dopo il Concilio di Trento fu molto apprezzata l’ortodossia religiosa: di fronte a forme iconograficamente programmate di persuasione affidata a una maniera semplice e studiata, senza gesti ricercati, che umanizza i protagonisti sacri accostandoli ai donatori. In tal senso si giustificano tante composizioni dove la resa dei personaggi viene ad assumere un carattere arcaizzante, volto a intenerire i fruitori, e al tempo stesso rendere facilmente comprensibile il messaggio della pala d’altare, seguendo i precetti “Docere, Movere, Delectare”, ossia insegnare, commuovere e divertire, del Discorso intorno alle immagini sacre et profane, scritto dal cardinale Gabriele Paleotti nel 1582.
Inoltre cambiano i riferimenti culturali degli artisti faentini a seguito del concilio tridentino. Mentre i pittori delle generazioni precedenti, formati tra la fine del Quattrocento e il primo quarto del Cinquecento, erano influenzati dalle scuole urbinati, veneziane e bolognesi-ferraresi, gli artisti invece nati all’inizio del sedicesimo secolo hanno svolto il loro apprendistato a Roma: Giacomo Bertucci detto Jacopone da Faenza è documentato nel 1534, quando versa la quota di associazione all’Accademia di San Luca; l’orafo Giovanni Bernardi di Castel Bolognese vi abitò a lungo; l’esperienza romana fu fondamentale nella maturazione artistica di pittori quali Giulio Avezuti detto il Ponteghino e Antonio Liberi detto Antonio di Mazzone.
Essi poterono allontanarsi dalla città anche negli avvenimenti da cui Faenza fu sconvolta nei decenni centrali del Cinquecento. Condannata di eresia, la città fu oggetto di durissime repressioni e numerose furono le condanne, anche ad alcuni pittori: è infatti noto che Giacomo Bertucci e il nipote Giovanni Battista Bertucci il Giovane furono processati per eresia nel 1567 e nel 1569, per poi essere liberati dalla prigionia soltanto dopo aver abiurato la professione della dottrina luterana, di cui erano accusati.
Negli stessi anni i progetti decorativi di Giorgio Vasari a Palazzo Vecchio a Firenze diventano l’occasione per molti artisti di collaborare, ottenendo una commissione prestigiosa.
Tra i numerosi pittori impiegati nel cantiere fiorentino si ricordano i faentini Marco Marchetti e Nicolò Paganelli. Del primo sappiamo che fu amico di Vasari, il quale in un passo della Vita del Primaticcio ne fa un elogio forse superiore alle sue reali capacità. Noto più come pittore di affreschi, le opere di carattere religioso da lui realizzate per Faenza, il Cristo in casa del Fariseo oggi in Pinacoteca Comunale e la Deposizione nella chiesa dell’Osservanza, rivelano quanto gli fosse poco congeniale il genere della pala d’altare.
Su Nicolò Paganelli il Vasari non ci riporta nessuna notizia, nonostante venga ricordato tra i suoi collaboratori in Palazzo Vecchio. Diverse sue opere si conservano a Faenza, e Antonio Corbara ha ricostruito la personalità artistica del pittore, dimostrando quanto egli “è dominato dal Baroccio, ma il suo baroccismo ha un fare grasso e ridanciano che si esprime attraverso un colore più rubizzo e una tendenza naturale verso l’episodio di genere. Le figurazioni, impostate secondo leggi prospettiche più naturali, sono sempre ravvivate da qualche particolare che rompe la monotonia; i volti su cui sempre si esercita l’istinto di una caratterizzazione, sia pure di maniera, sono segnati da ombre cilestrine; le guance dei suoi sorridenti putti hanno pomelli coloriti che danno loro l’aspetto di quelle che il Vasari ad altro proposito chiama le mascherette ilari“.
Le accuse di eresia che coinvolgono Faenza per almeno un ventennio collocano la città in una posizione di netta e spiacevole evidenza rispetto al vasto fronte della repressione tridentina: questo portò a un rallentamento della committenza di immagini di culto. Nel 1567 l’episodio miracoloso della Madonna del Fuoco faentina ebbe una grande risonanza, che permise la ripresa del culto della Madonna attraverso la produzione e distribuzione di immagini devozionali. Al 1572 si situa la pala di Sant’Antonino di Giacomo Bertucci, con la Madonna in trono, la prima opera datata e firmata dal pittore dopo il processo, dipinto nell’anno della morte di papa Ghislieri, che tanto aveva danneggiato l’immagine della città, trasferendovi la sede dell’Inquisizione romagnola nella chiesa domenicana di Sant’Andrea.
Il Giubileo del 1575 vede il ristabilirsi della fama dei faentini: in città gli effetti della politica intransigente di papa Pio V resistono nella moltitudine di confraternite e istituti di beneficenza, conventi femminili e maschili e parrocchie nate grazie alla sua intercessione. Il ritorno alla normalità provocò un incremento della produzione pittorica, che intravede in Roma il ritrovato centro della formazione figurativa.
Meritano attenzione all’interno di questo contesto i pittori Giovanni Battista Armenini, Bartolomeo Garminanti e Giulio Tonducci.
L’Armenini fu una figura molto interessante nel mondo pittorico di fine Cinquecento per aver scritto il trattato De’ veri precetti della pittura, edito a Ravenna nel 1587, che attesta la sua formazione pittorica, avvenuta a Roma e a Milano. Il suo dipinto con l’Assunzione della Vergine nella Pinacoteca Comunale, già nella chiesa di Santa Maria ad Nives di Faenza, risale agli anni del suo ritorno in città, avvenuto nel 1564.
Relativamente al Garminanti, pochissime sono le notizie biografiche a noi note, perlopiù ritrovate da Gian Marcello Valgimigli: sappiamo che nel 1587 collaborò con Filippo Carradori nell’esecuzione degli affreschi di Porta Imolese, distrutta nel 1944, e nel 1595 con Antonio Zannoni avrebbe dipinto alcuni affreschi nel Palazzo Comunale, perduti anch’essi.
Nel 1621 è impegnato nella realizzazione di otto quadretti con i Misteri del Rosario per la chiesa di San Domenico, ma l’opera per la quale è maggiormente ricordato è l’Incoronazione della Madonna, angeli e cherubini, conservata nella Pinacoteca Comunale, che presenta delle assonanze stilistiche con l’opera di Giovanni Battista Bertucci il Giovane.
Su Giulio Tonducci non ci sono giunte sufficienti documentazioni sulla sua vita. È ricordato per aver collaborato con Giacomo Bertucci detto Jacopone da Faenza nell’affresco della cupola di San Vitale a Ravenna tra il 1541 e il 1544, e per la pala d’altare raffigurante lo Sposalizio di Santa Caterina e Santi che si conserva a Lugo nella Biblioteca Trisi, considerato il suo capolavoro e punto di partenza per le ricerche sul suo stile pittorico, che risente di molteplici conoscenze, da Vasari a Jacopone da Faenza, fino ai modi aggraziati e manieristici della pittura di Luca Longhi.
Si contraddistingue anche Ferraù Fenzoni, artefice delle numerose imprese decorative promosse da Sisto V e Gregorio XIII. Nel 1599, dopo essere rientrato a Faenza, si fa portavoce di alcune novità pittoriche, nonostante gli apporti di altre scuole, come quella emiliana derivata da pitture di Alessandro Tiarini, Guido Reni e Francesco Gessi, da quella urbinate, di derivazione baroccesca, riscontrata in artisti quali Filippo Bellini e Benedetto Marini, e quella fiorentina.
Infine, nei primi decenni del Seicento Faenza è sensibile anche al nuovo gusto naturalistico, nato a Roma grazie alla pittura di Caravaggio. Interessante in ambito faentino è il caso di Biagio Manzoni, il “caravaggesco di periferia” come lo definì Roberto Longhi, che vive una frattura artistica tra la pittura di tradizione manieristica e la presa diretta sul reale, elaborata con tratti di una certa violenza espressiva.
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OPERE
[su_highlight background=”#Db461e” color=”#fff”] 152 [/su_highlight] Alessandro Tiarini (Bologna, 1577 – 1668), Madonna col Bambino e i Santi Martino, Chiara, Francesco, Antonio da Padova
olio su tela, terzo decennio sec. XVII, cm. 300×200 (cornice di cm. 12), dalla chiesa del Convento di Santa Chiara di Faenza, soppressioni postunitarie, 1867, N. inv. 152
[su_highlight background=”#Db461e” color=”#fff”] 159 [/su_highlight] Nicolò Paganelli (Faenza, 1538 – 1620), Presentazione di Gesù al Tempio
olio su tavola, 1585, cm. 260×165 (cornice di cm. 7), N. inv. 159
[su_highlight background=”#Db461e” color=”#fff”] 158 [/su_highlight] Marco Marchetti (Faenza, 1528 ca. – 1588), Cristo in casa del Fariseo
olio su tavola, 1573 ca., cm. 230×166 (cornice di cm. 5), dalla distrutta chiesa di San Matteo di Faenza, N. inv. 158
[su_highlight background=”#Db461e” color=”#fff”] 157 [/su_highlight] Giovanni Battista Ramenghi, detto Bagnacavallo il Giovane (Bologna, 1521 – 1601), Discesa dello Spirito Santo con i Santi Petronio e Gregorio Magno
olio su tavola, 1567, cm. 246×142 (cornice di cm. 4), dall’oratorio della Confraternita dello Spirito Santo di Bologna, N. inv. 157
[su_highlight background=”#Db461e” color=”#fff”] 155 [/su_highlight] Giovanni Battista Armenini (Faenza, 1533 – 1609), Assunzione della Madonna
olio su tavola, 1560 – 1590 ca., cm. 340×220, dalla chiesa di Santa Maria Foris Portam di Faenza, soppressioni napoleoniche, N. inv. 155
[su_highlight background=”#Db461e” color=”#fff”] 923 [/su_highlight] Sigismondo Foschi (documentato dal 1520 al 1532), Madonna col Bambino e i Santi Bartolomeo, Giovanni Battista e altri due Santi
olio su tavola, 1527, cm. 240×160, dalla chiesa di San Bartolomeo di Faenza, soppressioni napoleoniche, N. inv. 923
[su_highlight background=”#Db461e” color=”#fff”] 151 [/su_highlight] Alessandro Tiarini (Bologna, 1577 – 1668), Conversione di San Paolo
olio su tela, cm. 288×194 (cornice di cm. 7), dalla distrutta chiesa di San Paolo di Faenza, N. inv. 151
[su_highlight background=”#Db461e” color=”#fff”] 148 [/su_highlight] Luca Scaletti (Faenza, documentato dal 1531 al 1555), Battesimo di Cristo
olio su tavola, 1536, cm. 310×206 (cornice di cm. 12), dalla chiesa di San Giovanni Battista di Faenza, soppressioni napoleoniche, N. inv. 148
[su_highlight background=”#Db461e” color=”#fff”] 138 [/su_highlight] Anonimo bolognese (sec. XVII), Cristo e la samaritana
olio su tela, fine sec. XVII, cm. 95×125 (cornice di cm. 17), N. inv. 138
[su_highlight background=”#Db461e” color=”#fff”] 1209 [/su_highlight] Ercole Procaccini (Bologna, 1515 – Milano, 1595), Incoronazione della Madonna, angeli e i Santi Celestino Papa, Giovanni Battista, Luca, Benedetto
olio su tavola, sesto decennio del sec. XVI, cm. 280×190 (cornice di cm. 10), dalla chiesa di San Giovanni Battista dei Celestini di Faenza, depositato nel 1882, N. inv. 1209
[su_highlight background=”#Db461e” color=”#fff”] 144 [/su_highlight] Antonio Liberi detto Antonio di Mazzone (Faenza, 1456 – 1534 ca.), Madonna col Bambino e i Santi Pietro, Paolo, Domenico, Luca e Marco Evangelisti
olio su tavola, 1525 ca., cm. 240×132 (cornice di cm. 3), dalla chiesa di San Domenico di Faenza, soppressioni napoleoniche (1867), N. inv. 144
[su_highlight background=”#Db461e” color=”#fff”] 143 [/su_highlight] Sigismondo Foschi (documentato dal 1520 al 1532), Madonna col Bambino e i Santi Paolo, Giovanni Battista, Benedetto (?), Sebastiano, Caterina e Apollonia
olio su tavola, 1520 – 1532 ca., cm. 173×170 (cornice di cm. 9), dalla chiesa di Santa Maria Foris Portam di Faenza, soppressioni napoleoniche, N. inv. 143
[su_highlight background=”#Db461e” color=”#fff”] 141 [/su_highlight] Ferraù Fenzoni (Faenza, 1562 – 1645), Cristo condotto al Calvario
olio su tela, 1622 – 1630 ca., cm. 100×130 (cornice di cm. 11), N. inv. 141
[su_highlight background=”#Db461e” color=”#fff”] 140 [/su_highlight] Ferraù Fenzoni (Faenza, 1562 – 1645), Deposizione di Cristo
olio su tela, 1622 ca., cm. 280×190 (cornice di cm. 10), dalla distrutta chiesa della Madonna del Fuoco di Faenza, N. inv. 140
[su_highlight background=”#Db461e” color=”#fff”] 137 [/su_highlight] Giacomo Bertucci detto Jacopone da Faenza (Faenza, 1502 – 1579), Cristo deposto dalla croce
olio su tavola, quarto decennio sec. XVI, cm. 380×235 (cornice di cm. 10), dalla chiesa di San Rocco di Faenza, N. inv. 137
[su_highlight background=”#Db461e” color=”#fff”] 136 [/su_highlight] Ferraù Fenzoni (Faenza, 1562 – 1645), Cristo nella piscina probativa
olio su tavola, 1600, cm. 338×225 (cornice di cm. 10), dalla distrutta chiesa della Confraternita di San Giovanni Decollato di Faenza, depositata nel 1879, N. inv. 136
[su_highlight background=”#Db461e” color=”#fff”] 135 [/su_highlight] Giacomo Bertucci detto Jacopone da Faenza (Faenza, 1502 – 1579), Disputa sull’Incoronazione della Madonna, con i Santi Benedetto, Giovanni e Matteo Evangelisti, Giovanni Battista, Celestino Papa e il committente
olio su tavola, 1565, cm. 380×254 (cornice di cm. 10), dalla distrutta chiesa dei Celestini di Faenza, soppressioni napoleoniche, N. inv. 135
[su_highlight background=”#Db461e” color=”#fff”] 134 [/su_highlight] Biagio (?) Manzoni (Faenza, 1595 – documentato fino al 1648), Martirio di Sant’Eutropio
olio su tela, 1629 – 1648 ca., cm. 271×178 (cornice di cm. 10), dalla distrutta chiesa di Sant’Eutropio di Faenza, soppressioni napoleoniche, N. inv. 134
[su_highlight background=”#Db461e” color=”#fff”] 133 [/su_highlight] Ferraù Fenzoni (Faenza, 1562 – 1645), Morte della Madonna
olio su tela, 1622 – 1630 ca., cm. 271×143 (cornice di cm. 7), dalla distrutta chiesa di San Paolo di Faenza, soppressioni napoleoniche, N. inv. 133
[su_highlight background=”#Db461e” color=”#fff”] 1353 [/su_highlight] Giovanni Battista Bertucci il Giovane (Faenza, 1539 – 1614), Nascita della Madonna
olio su tavola, 1586, cm. 320×200, N. inv. 1353
[su_highlight background=”#Db461e” color=”#fff”] 130 [/su_highlight] Filippo Bellini (Urbino, 1550 ca. – Macerata, 1603), San Francesco riceve le Stimmate
olio su tela, ultimo decennio sec. XVI, cm. 335×225 (cornice di cm. 9), dalla chiesa di San Francesco di Faenza, N. inv. 130
[su_highlight background=”#Db461e” color=”#fff”] 139 [/su_highlight] Anonimo bolognese (sec. XVII), Sacra Famiglia, San Giovannino e un angelo
olio su tela, sec. XVII, cm. 95×125 (cornice di cm. 17), N. inv. 139
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