SALA MANFREDI
[su_accordion][su_spoiler title=”Presentazione” style=”fancy” icon=”plus”]
Già nel precedente allestimento della Pinacoteca una sala era stata dedicata alla raccolta di opere e cimeli storici del periodo del dominio della famiglia Manfredi, signori di Faenza. L’intuizione venne poi sviluppata nell’ambito della ristrutturazione dell’ambiente nei primi anni Venti del Novecento: si procedette ad una vera e propria ricostruzione ambientale collocando qui un soffitto quattrocentesco proveniente da una casa in corso Saffi.
La sala si apre con un capolavoro dell’arte della numismatica del Rinascimento, la Medaglia di Galeotto Manfredi, opera del mantovano Sperandio Savelli (Mantova, 1425 ca. – Venezia, 1504 ca.). Di un artista toscano è il Camino, trasportato qui nel 1892 da Palazzo Manfredi, ora Palazzo Comunale: esso infatti è attribuito alla bottega di Desiderio da Settignano (Settignano, 1430 ca. – Firenze, 1464). Accanto ad esso è collocata la tela raffigurante Astorgio III Manfredi e il Beato Bernardino da Feltre, opera di un anonimo artista romagnolo.
Preziosi prodotti di un’antica tradizione artigiana sono i due Cassoni nuziali della seconda metà del XV secolo, qui collocati in seguito delle soppressioni del 1867 e provenienti dal convento di San Maglorio. Essi sono attribuibili ad una bottega di intagliatori toscani: vengono identificati con i cassoni da corredo donati da Galeotto Manfredi a Cassandra Pavoni, al momento della sua monacazione in San Maglorio, avvenuta nel 1480.
Dal castello di Ceparano, nei dintorni di Faenza, proviene l’Impresa araldica di Astorgio I Manfredi. Acquistata nel 1893, reca la data MCCCLXXVIII ed è opera di un anonimo scultore.
Di ignoto autore è anche l’Impresa araldica di Galeotto Manfredi, signore di Faenza dal 1477 al 1488, composta dalla palma fiorita, il gallo simbolo di Galeotto stesso, la ferita zampillante sangue, la lancetta del flebotomo e la cordicella annodata.
Dal Convento dei Cappuccini, a seguito delle soppressioni del 1867, proviene l’Altarolo portatile in avorio scolpito (alla fine del sec. XIV o all’inizio del XV) dalla Bottega degli Embriachi (sec. XV), a cui si deve il grande trittico della Certosa di Pavia.
Accanto a questi manufatti, testimoni del gusto e della committenza manfreda, sono espostie anche quattro opere, che facevano parte dello studiolo di Fra Sabba da Castiglione nella chiesa della Commenda. Opera di particolare importanza è il San Giovannino in marmo, attribuito in precedenza a Donatello e in seguito ad una complessa elaborazione critica l’attribuzione recente propende per Benedetto da Maiano (Maiano, 1442 ca. – Firenze, 1497). Segue il bassorilievo in terracotta con il San Girolamo Penitente di Alfonso Lombardi (Ferrara, 1497 ca. – Bologna, 1537), un ben conservato Piano di tavolo, ascritto alla mano di Fra Damiano da Bergamo (Zogno, 1490 ca. – Bologna, 1549) e un’Urna cineraria in alabastro, databile al I-II secolo d. C.
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[su_spoiler title=”Approfondimento: I Manfredi e le arti a Faenza” style=”fancy”]
Come altre signorie della Romagna, anche quella dei Manfredi ha segnato in maniera qualificante il volto artistico e la cultura della città. Fin dal primo Trecento si deve ai Manfredi la chiamata a Faenza dei famosi pittori della Scuola giottesca riminese, che affrescarono una cappella del loro palazzo con una grandiosa Crocifissione e Santi, di cui restano oggi solo pochi frammenti conservati in Pinacoteca, databili al 1320-1330.
Ma è soprattutto nel Quattrocento, con le signorie di Astorgio II e di Galeotto, che Faenza si apre alle nuove correnti rinascimentali e acquista un nuovo volto urbanistico. La principale direttrice culturale è verso Firenze, in conseguenza anche alle alleanze politiche dei Manfredi. Questo è un fatto nuovo perchè fino allora l’arte a Faenza aveva risentito soprattutto l’influenza di Bologna e di Venezia, come mostrano i polittici tardogotici del Maestro di San Pier Damiano, oggi conservati nel Museo Diocesano. Il polittico un tempo nel Duomo, databile al 1444-1448, venne verosimilmente patrocinato da Astorgio II in omaggio alle figlie Elisabetta e Barbara, a cui allude la presenza delle omonime Sante raffigurate nelle tavolette.
L’apertura di Astorgio all’arte toscana si misura da due prestigiosi capolavori che a lui si collegano: il suo Busto marmoreo, firmato nel 1455 da Mino da Fiesole (oggi a Washington, National Gallery) e il tabernacolo con la Madonna con il Bambino che ornava la rocca manfrediana di Solarolo, opera oggi riconosciuta al Verrocchio verso il 1465.
Il nuovo corso dell’arte faentina è incentivato dalla ricostruzione del Duomo, intrapresa da Federico Manfredi, vescovo di Faenza dal 1470 al 1478 e quindi proseguita da Galeotto Manfredi. Autore del progetto è il fiorentino Giuliano da Maiano, seguace di Brunelleschi, a cui l’edificio si ispira per il rigore razionale ed insieme classico dell’interno, esaltato dalla luce diffusa e dalla sobrietà della decorazione dove spiccano i tre grandi tondi con gli emblemi manfrediani in maiolica policroma realizzati da Andrea Della Robbia nel 1477 circa. Nel 1475 lo stesso scultore aveva modellato la lunetta con San Michele Arcangelo per la chiesa omonima dei Ragnoli, legatissimi ai Manfredi (conservata al Metropolitan Museum di New York).
All’interno del Duomo un altro capolavoro è l’arca marmorea di San Savino con i bassorilievi dedicati alla vita e ai miracoli del Santo, oggi riconosciuti ad Antonio Rossellino verso il 1470, che introduce nel racconto una nitida visione prospettica dello spazio. All’incirca nello stesso anno, per commissione del vescovo Federico Manfredi, entrava nella chiesa degli Osservanti la statua lignea del San Girolamo (Faenza, Pinacoteca Comunale), superba affermazione del Rinascimento fiorentino ritenuta di Donatello sulla fede del Vasari, oggi più verosimilmente assegnata a uno scultore della diretta cerchia donatelliana, ossia Bertoldo di Giovanni.
Anche in pittura si registra l’apertura alle correnti fiorentina con l’attività di Biagio D’Antonio, favorita dai Manfredi. Il pittore compare a Faenza per la prima volta nel 1475 nella pala commissionatagli dai Ragnoli, i tesorieri della signoria, per la loro chiesa di San Michele (Tulsa, Philbrook Museum of Art). Presto Biagio diffuse il suo linguaggio, formato nelle botteghe di Ghirlandaio e di Verrocchio, nelle pale apposte nelle principali chiese cittadine. L’influenza dei Manfredi nella vita artistica faentina si intreccia spesso con quella religiosa: a loro si deve la costruzione della chiesa di Santo Stefano vecchio, potente edificio a pianta ottagonale, opera del fiesolano Lapo di Pagno Portigiani, impegnato anche nel Duomo e sorretto probabilmente da un progetto di Giuliano da Maiano. È noto poi l’appoggio dato al culto del Beato Bertoni da Galeotto che nel 1483, alla morte del Bertoni, concesse per la sepoltura la cappella gentilizia della chiesa dei Servi. In onore del Beato commissionò probabilmente la bella pala con la Madonna con il Bambino tra il Beato e San Giovanni Evangelista, quest’ultimo Santo titolare della cappella manfrediana sul cui altare la pala rimase per secoli (oggi in Pinacoteca).
Anche le arti “minori” conoscono una splendida fioritura. Già Astorgio II aveva gettato le basi di una biblioteca che venne ulteriormente arricchita da Galeotto con preziosi codici venduti poco dopo la sua morte e acquistati dal re d’Ungheria Mattia Corvino. Si conserva ancora a Firenze una Bibbia in sei voluni riccamente ornati da miniature del fiorentino Attavante e del ferrarese Jacopo Filippo Medici detto l’Argenta, databile agli anni 1480-1485. Accanto alle immagini sacre vi riccorono gli emblemi di Galeotto con la palma fiorita e il gallo, come veniva chiamato dal popolo di Faenza. È interessante che la Bibbia presenti una commistione di più botteghe di miniatori anche locali, perchè questo favorirà la nascita di un linguaggio molto specifico nella miniatura faentina dove eccelle l’opera di Savino da Faenza.
Anche la ceramica ha uno dei suoi capitoli più alti nell’età manfrediana. Su piatti, boccali, mattonelle compaiono sempre più spesso gli stemmi dell’Astorre di Astorgio II e della palma fiorita di Galeotto, nonchè l’altro motivo dell’occhio di pavone che, per quanto sia di origine bizantina e orientale, la tradizione locale ha voluto collegare all’amore di Galeotto per Cassandra Pavoni. Accanto alla determinante influenza fiorentina, va valutato anche l’altro asse in direzione di Bologna e di Ferrara, città era particolarmente cara a Galeotto che presso la corte estense aveva fatto il tirocinio di cavaliere.
L’influenza della raffinata cultura ferrarese si riscontra, ad esempio, nella pala del Beato Bertoni, nella miniatura e in molti decori ceramici, tra cui citiamo il pavimento della cappella Vaselli in San Petronio a Bologna, firmato nel 1487 dal maiolicaro Pietro Andrea da Faenza.
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OPERE
[su_highlight background=”#Db461e” color=”#fff”] 901 [/su_highlight] Artigianato faentino (sec. XV), Soffitto dipinto
legno dipinto a cassettoni, fine sec. XV, da una casa di Corso Saffi di Faenza, N. inv. 901
[su_highlight background=”#Db461e” color=”#fff”] 213 [/su_highlight] Sperandio Savelli (Mantova, 1425 ca. – Venezia, 1504, ca.) Medaglia con effigie e insegne di Galeotto Manfredi
bronzo, diametro. cm. 6,8, N. inv 213
[su_highlight background=”#Db461e” color=”#fff”] 199 [/su_highlight] Desiderio da Settignano, bottega di (Settignano, 1430 ca. – Firenze 1464), Camino
pietra serena, seconda metà sec. XV cm. 238x295x25, da Palazzo Manfredi di Faenza, N. inv. 199
[su_highlight background=”#Db461e” color=”#fff”] 208 [/su_highlight] Anonimo romagnolo (sec. XV), Astorgio III Manfredi e il Beato Bernardino da Feltre
tempera su tela, 1494 – 1501 ca., cm. 174×76 (cornice di cm.2), dalla chiesa di San Girolamo dell’Osservanza di Faenza, N. inv. 208
[su_highlight background=”#Db461e” color=”#fff”] 205 [/su_highlight] Anonimo toscano (sec. XV), Cassoni
legno intagliato e oro, sec. XV, due esemplari di cm. 47x167x47, dal convento di San Maglorio di Faenza, N. inv. 205
[su_highlight background=”#Db461e” color=”#fff”] 200 [/su_highlight] Anonimo (sec. XIV), Impresa araldica di Astorgio I Manfredi
calcare, 1378 ca., cm. 109×68, dal Castello di Ceparano di Faenza, N. inv. 200
[su_highlight background=”#Db461e” color=”#fff”] 201 [/su_highlight] Anonimo (seconda metà sec. XV), Impresa araldica di Galeotto Manfredi
pietra arenaria, 1477-1488 ca., cm. 85×70, da Palazzo Manfredi di Faenza (?), N. inv. 201
[su_highlight background=”#Db461e” color=”#fff”] 202 [/su_highlight] Arte degli Embriachi (sec. XIV – XV), Annunciazione, Crocifissione, Orazione nell’orto e Santi. Negli sportelli due angeli oranti
intarsio in osso, avorio e legno di ebano, fine sec. XIV, cm. 66×44,5, dal convento dei Cappuccini di Faenza, N. inv. 202
[su_highlight background=”#Db461e” color=”#fff”] 196 [/su_highlight] Benedetto da Maiano, attr. (Maiano, 1442 ca. – Firenze, 1497), San Giovannino
marmo, 1470-1480 ca., cm. 40x31x18,5, dalla chiesa di Santa Maria Maddalena di Faenza, N. inv. 196
[su_highlight background=”#Db461e” color=”#fff”] 128 [/su_highlight] Alfonso Lombardi (Ferrara, 1497 ca. – Bologna, 1537), San Girolamo Penitente
terracotta patinata, cm. 56x46x11,5, N. inv. 128
[su_highlight background=”#Db461e” color=”#fff”] 106 [/su_highlight] Fra Damiano da Bergamo (Zogno, 1490 ca. – Bologna, 1549), Piano di tavolo
legno intarsiato, cm. 112×114, N. inv. 106
[su_highlight background=”#Db461e” color=”#fff”] 1638 [/su_highlight] Arte funeraria romana (I – II sec. d.C.), Urna cineraria
alabastro, cm. 48×34, N. inv. 1638
GALLERIA
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