SALA DEL CRISTO IN PIETÀ
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In questa sala, recentemente riallestita, sono esposte quattro opere che hanno come soggetto comune uno stesso tema, quella del Cristo in Pietà, realizzate tutte alla fine del XV secolo in materiali differenti.
Ammiriamo in questo modo l’esemplare di Biagio D’Antonio da Firenze (Firenze, 1446 ca. – documentato fino al 1510) così come quello attribuito al Maestro della Pala Bertoni (Faenza, seconda metà sec. XV), l’opera in cartapesta policroma ascrivibile a Bartolomeo Bellano (Padova, 1437 ca. – 1497 ca.) e quello che è considerato lo stendardo processionale appartenuto un tempo al Monte di Pietà di Faenza, attribuito ad un anonimo artista romagnolo.
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[su_spoiler title=”Approfondimento: L’iconografia dell’Imago Pietatis nelle opere della Pinacoteca Comunale di Faenza” style=”fancy”]
L’iconografia dell’Imago Pietatis nelle opere della Pinacoteca Comunale di Faenza
L’Imago Pietatis, letteralmente «Immagine della Pietà», è una precisa scelta di rappresentazione dell’immagine del Cristo, in cui esso viene raffigurato nel pieno del suo dolore fisico e turbamento morale.
L’iconografia del Cristo Morto nel sepolcro approda dall’Oriente bizantino in Occidente nel corso del XIII secolo e fu associata agli Istituti noti come “Monti di Pietà” e alle pie istituzioni di carattere assistenziale ai poveri, bisognosi e ammalati. È il tema della compassione verso il prossimo o “Pietas”, spesso vestita di rosso, “perché è compagna e sorella della Carità”, come riporta l’Iconologia di Cesare Ripa (1593).
Sono immagini chiare e facilmente leggibili, in una società in cui poche persone sapevano leggere e scrivere. Immagini inoltre toccanti, capaci di imprimersi nelle menti delle persone e, soprattutto, di indurle a generose offerte. A questo scopo venne utilizzata la rappresentazione di Cristo sofferente e indifeso, in un momento imprecisato che si colloca tra la deposizione dalla croce e la sepoltura: l’Imago Pietatis.
Tuttavia l’Imago Pietatis non va confusa con la raffigurazione della Pietà, che raffigura Maria che sorregge il corpo senza vita del figlio, dopo la sua passione e deposizione e che ha origini tedesche, che si riconoscono nel Vesperbild (letteralmente “l’immagine del Vespro”), o con le altre versioni solitarie come quella dell’Ecce Homo, momento della Passione successivo alla flagellazione, dove Cristo sofferente viene raffigurato mettendo in risalto la corona di spine e il mantello di porpora.
Osservando la figura del Cristo in Pietà è possibile evidenziare quale sua particolarità quella di riproporre insieme raffigurazioni utilizzate in tipi iconografici differenti: ad esempio assume in prestito dalla rappresentazione del Cristo crocifisso il portamento eretto del torso e l’inclinazione della testa, oppure dal Cristo nel sepolcro la posizione delle mani incrociate. Come osservato da Hans Belting e Erwin Panofsky, ci troviamo in presenza di un tipo di immagine definita Andachtsbild (immagine devozionale) che ha origine dall’isolamento di un frammento all’interno di una composizione scenica; l’azione è portata alla stasi ma, allo stesso tempo, la divinità del Cristo viene alleggerita da moti umanamente comprensibili (vediamo la sofferenza che traspare dal volto di Cristo) e ciò permette all’osservatore un’immersione contemplativa.
L’Imago Pietatis è proposta con una vasta gamma di varianti: a sottolineare lo stato di morte della figura di Cristo sono gli occhi chiusi, la presenza del sarcofago, gli angeli che sostengono il peso del corpo. Il tipo di immagini che, invece, raffigura Cristo in uno stato di vita apparente è quella che lo rappresenta con gli occhi aperti, in piedi senza nessun aiuto, con le ferite ancora sanguinanti e le mani che indicano le ferite sulle mani e sul costato nel gesto dell’ostentatio vulnerum.
In alcuni casi, specialmente nell’arte italiana, Cristo viene raffigurato in piedi, a mezzo busto, all’interno del sepolcro. La scelta iconografica del mezzo busto permette di offrire intimità al fedele, consentendone la contemplazione di quei tratti fisici che vengono venerati come oggetti di culto, ad esempio, le ferite quali viene dato grande risalto.
In questo modo lo spettatore riesce così a guardare ogni dettaglio dell’immagine, non solo delle ferite ma anche del ritratto fisionomico del volto di Cristo. Si può parlare di ritratto perché l’iconografia del volto di Cristo si basa sulla Sacra Sindone, il lenzuolo di lino identificato con quello usato per avvolgere il corpo di Cristo nel sepolcro, oggi conservata nel Duomo di Torino. Nelle prime immagini di Cristo non appare la barba; questa, con due punte, viene introdotta progressivamente a indicare la sua duplice natura, umana e divina.
Talvolta, sopra all’altare, troviamo la presenza di un baldacchino, che forma un tetto e rappresenta la protezione simbolica dovuta a ciò che va venerato e adorato. Il baldacchino che sormonta l’altare ha la funzione di indicare uno spazio sacro.
Nell’iconografia dell’Imago Pietatis, dunque, i gesti hanno un grande valore perché la maggior parte di questi è tratta dalle Sacre Scritture e dalla tradizione.
Il gesto delle braccia incrociate, ad esempio, è tipico dell’iconografia funeraria dell’arte occidentale e di quella orientale. Pertanto si potrebbe pensare che, quando Cristo viene raffigurato in questo modo, il momento della Passione che si vuole mettere in risalto è quello della sepoltura.
Possiamo anche trovare Cristo raffigurato con i polsi incrociati: questo schema identifica personaggi che manifestano la loro impotenza, incapacità o impossibilità di reazione, il loro fallimento. Anche l’espressione del volto, le sopracciglia allungate verso il basso, la linea della bocca o la posizione della testa inclinata in avanti, in accordo al gesto, sono finalizzate alla determinazione dello stato di afflizione, di tristezza della figura.
La fortuna del Cristo annientato da una morte vera, un corpo senza vita precipitante in avanti se non fosse trattenuto dagli angeli, è stata tale e tanto estesa in ambiti diversi, da dover pensare che tale immagine rispondesse a bisogni profondi e diffusi, che fosse in forte consonanza con lo spirito del tempo.
La magnifica invenzione del Cristo trattenuto dagli angeli prima di scivolare nella cassa avvolto nel sudario, si deve a Filippo Lippi , a partire dalla bella tavola conservata al Museo Cristiano di Esztergom , databile al 1433 circa.
Secondo un’intuizione di Andrea de Marchi sarebbe stato questo il prototipo iconografico, in seguito riutilizzato nella bottega di Francesco Squarcione, che non si lascia sfuggire una trovata come il sudario candido buttato sulle spalle di Cristo anche se mai più con la desolazione del prototipo.
Era un’immagine disponibile a essere efficacemente usata sia in pittura che in scultura. La bottega donatelliana usufruì molto dell’immagine, realizzando più versioni: con due angeli, con tre angeli dei quali il terzo accanto o sopra il volto di Cristo, con le Marie (ad esempio il rilievo di San Gaetano e la lunetta di terracotta attribuita a Bartolomeo Bellano, conservata al Museo Jacquemart-André). La loro diffusione è facilmente spiegabile grazie al ridotto formato delle opere.
In ambito specificatamente faentino, l’Imago Pietatis ha una notevole fortuna nel corso del Quattrocento, e lo attestano le quattro opere, tre di pittura e una di scultura, conservate nella Pinacoteca Comunale.
La loro diffusione è giustificata dalla fondazione del Monte di Pietà di Faenza, che avvenne il 12 ottobre 1491 dopo un mese di predicazione da parte di Bernardino da Feltre.
L’immagine più antica in cui egli appare si trova nella Pinacoteca Comunale: il beato è raffigurato con aureola e cartiglio, recante la scritta “Noli diligere mundum”, citazione dall’Epistola di Giovanni, che oltre a essere stata il tema principale del ciclo di prediche tenuto nella Cattedrale di Genova per la quaresima del 1490, venne impiegata per iniziare numerosi sermoni pronunciati per la quaresima pavese del 1493, mentre intorno al modellino è avvolta la scritta “Mons Pietatis” . Sul lato sinistro del dipinto è raffigurato un giovane inginocchiato, che per tradizione viene a riconoscersi con il signore di Faenza Astorgio III Manfredi. Tale connessione è dovuta all’esistenza di una moneta commemorativa della fondazione del Monte, databile all’incirca al 1491, in cui nel recto compare il ritratto di profilo del signore faentino, e nel verso un’Imago Pietatis accompagnata dalla scritta “Tibi tantum suffragator”.
Le successive rappresentazioni di Bernardino in ambito faentino seguono il modello fornito da questa tela. In ognuna di esse il modellino del Monte diventa l’attributo del francescano: pare comprensibile che l’unica giustificazione della presenza dell’oggetto sia la necessità di far comprendere l’identità del personaggio raffigurato.
Il termine Monte di Pietà, invece, sembrerebbe essere stato coniato per la prima volta ad Ascoli Piceno nel 1458 quando venne fondato un ente così chiamato, grazie all’intercessione del francescano Domenico da Leonessa e, forse, di Marco da Montegallo. Il termine era già quindi esistente anche se i primi due veri Monti di Pietà, quello fondato a Perugia nel 1462 e quello di Orvieto del 1463. erano chiamati Mons Pauperum e Mons Christi. Entro la fine del secolo comunque divenne comune l’intitolazione alla Pietas di questi enti assistenziali.
Le denominazioni dovevano rendere immediate le finalità del nuovo istituto: prestito assistenziale a basso interesse, se non addirittura nullo, fornito dai Monti per aiutare coloro che si trovavano in momentanee situazioni economiche disagiate.
Non si sa di preciso da quando l’Imago Pietatis abbia cominciato a essere usata in connessione ai Monti di Pietà. Risulta difficile stabile una datazione cronologica della diffusione in questo contesto, soprattutto perché i cicli pittorici o presentano una datazione incerta, o comunque troppo tarda per essere utili ai fini della questione. Tra i primi esempi lo stendardo di Mantova del 1484, ma viene ricordato anche il Christus patiens di Orvieto del 1463, impiegato per raccogliere i fondi destinati alla fondazione del Monte.
L’impiego dell’immagine in questo contesto costituisce un invito alla misericordia al fine di aiutare gli indigenti.
Si apre la serie delle Imago Pietatis presenti in Pinacoteca con la bella tavola con Cristo in Pietà, attribuito al Maestro della pala Bertoni, (seconda metà sec. XV), pittore di estrazione locale che ha conosciuto Biagio d’Antonio ed ha assimilato lo stile dei pittori ferraresi, permeata attraverso la cultura bolognese degli anni settanta-ottanta.
Accanto si mostra un altro Christus patiens tra due angeli, opera di Biagio d’Antonio da Firenze (1446 ca. – documentato fino al 1510), opera in cui si denota l’allontanamento del pittore dal classicismo fiorentino, presente nell’altro Christus patiens del Duomo, verso la ricerca di nuove suggestioni formali (si confronti l’opera con il Christus patiens dipinto nel 1471 da Marco Zoppo per il polittico di San Giovanni Evangelista a Pesaro).
Di fronte a queste due opere un’interessante cartapesta policroma, attribuita all’artista padovano Bartolomeo Bellano (1437 ca. – 1497 ca.), in cui l’artista, formatosi nella bottega di Donatello, rielabora un modello molto fortunato in area veneta, derivato dal prototipo di Filippo Lippi, conservato a Esztergom, realizzato nello stesso periodo in cui Donatello si trovava a Padova.
Chiude l’esposizione, sulla parete tra le due porte, lo stendardo processionale databile alla fine del sec. XV, di ignoto autore, anche se in passato veniva attribuito a Melozzo da Forlì e Marco Palmezzano. Oggetto molto raro, se si pensa che degli stendardi che si impiegavano in simili occasioni ne sono sopravvissuti almeno quattro, quelli di Faenza, Milano e Reggio Emilia. Il più antico risulta essere quello faentino, se si tratta effettivamente di quello presente alla fondazione del Monte nel 1491, nonostante che la critica più recente lo data agli inizi del sec. XVI.
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OPERE
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Biagio d’Antonio da Firenze (Firenze, 1446 ca. – documentato fino al 1510), Cristo in Pietà
olio su tavola, ultimo decennio sec. XV, cm. 87,5×56,5 (cornice di cm. 13), proprietà Collezioni d’arte Crédit Agricole Italia, N. inv. 176
[su_highlight background=”#Db461e” color=”#fff”] 207 [/su_highlight] Maestro della Pala Bertoni (Faenza, seconda metà sec. XV), Cristo in Pietà
olio su tavola, seconda metà sec. XV (1483 ca.), cm. 76×53 (cornice di cm. 8), proprietà Collezioni d’arte Crédit Agricole Italia, N. inv. 207
[su_highlight background=”#Db461e” color=”#fff”] 204 [/su_highlight] Bartolomeo Bellano, attr. (Padova, 1437 ca. – 1497 ca.), Cristo in Pietà e angeli
cartapesta policroma a rilievo, 1460 ca., cm. 85×78 (cornice di cm. 5), acquistato nel 1937 dall’antiquario Ernesto Monti, N. inv. 204
[su_highlight background=”#Db461e” color=”#fff”] 209 [/su_highlight] Anonimo romagnolo (fine sec. XV), Madonna, Cristo in Pietà e i Santi Giovanni, Pietro, Francesco e Girolamo
tempera su tela, fine sec. XV, cm. 104×87 (cornice di cm.8), proprietà Collezioni d’arte Crédit Agricole Italia, N. inv. 209
GALLERIA
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