[su_heading size=”18″ margin=”15″]IL SAN GIOVANNINO RESTAURATO
17 ottobre – 29 novembre 2009[/su_heading]
IL RESTAURO
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- Introduzione
- L’autore
- Iconografia
- Storia
- Fra Sabba da Castiglione
- Il restauro
- Referenze
- File in formato pdf con tutti i testi dei pannelli in mostra (416 kb)
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UNA QUESTIONE DI BASE
Giunto nel laboratorio dell’Opificio su di una base in alabastro adottata nella prima metà del Novecento, e a dire il vero forse più idonea a sculture di altre epoche, il San Giovannino di Faenza appariva statico e irrigidito in una verticalità che nella visione frontale suggeriva richiami ad un purismo accademico, neoquattrocentesco. Anche le vedute laterali, nel contrasto di proporzioni tra busto e sostegno, suscitavano perplessità per una costituzione che risultava essere troppo esile, quasi patologica, e per una fragilità spaurita, poco consueta in un artista rinascimentale.
Eliminare questo elemento ci è quindi parsa una primaria esigenza, non tanto mossi da questioni di gusto personale, ma con il desiderio di migliorare la possibilità di lettura dell’opera.
In realtà non sappiamo quale fosse, in dettaglio, l’aspetto originale. Ci sentiamo però di escludere definitivamente l’ipotesi che il San Giovannino di Faenza fosse inizialmente a figura intera.
Lo negano le fonti antiche, anche se non coeve: Fra’ Sabba ne scriveva entro il 1545 riferendosi a “una testa di san Giovanni Battista” che “adornava il suo piccolo studiolo”. Le dimensioni sono inoltre confrontabili con quelle di altri busti del XV secolo.
Né infine una prova a favore del fatto che possa trattasri di un frammento può derivare dalla constatazione che la superficie d’appoggio non è liscia e curata a dichiarare una perdita accidentale della parte inferiore del corpo; sbozzature simili del marmo si presentano infatti in molti esemplari del periodo.
E’ invece sicuro che la scultura si sia ad un certo punto danneggiata. Una caduta può essere stata la causa della frattura dell’estremità del naso e probabilmente in quella stessa occasione la zona tergale dovette scheggiarsi, compromettendo l’autonoma stabilità dell’insieme. Una traccia di questa perdita di porzioni di marmo si legge nelle zone d’ombra della faccia inferiore che si percepiscono rilavorate. Modificate sono anche le braccia, per di più abrase forse per consentire l’aggrappo di un panneggio in stucco realizzato per un allestimento ottocentesco.
La soluzione d’appoggio che noi proponiamo, come illustrata nel pannello precedente, è davvero minimalistica. Suscettibile di eventuali modifiche, è pensata esclusivamente allo scopo di aggiungere quel tanto di spessore necesario per far si che il busto possa sorreggersi senza ulteriori sostegni. Non più in bilico in un ‘a piombo’ inappropriato, il San Giovannino sembra essersi reimpadronito dello spazio circostante. Leggermente inclinato all’indietro e di lato, come altri capolavori della scultura quattrocentesca, il mento conseguentemente più sollevato e lo sguardo, potremmo dire, cristallino, ci pare pur sempre assorto e meditabondo sulle sorti di Cristo e dell’umanità, ma sorretto da una forza interiore priva di cedimenti e di incertezze secondo quanto ci trasmettono i migliori modelli del pieno Rinascimento fiorentino.

LO STATO DI CONSERVAZIONE
Descrizione dell’opera
All’arrivo nei laboratori dell’Opificio delle Pietre Dure di Firenze, la scultura risultava composta di due elementi, il mezzo busto in marmo (alto 41 cm, largo 31 cm, profondo 18,5 cm) e il basamento in alabastro di Volterra (alto 15 cm, con diametro di 18,5 cm) per un’altezza totale di 56 cm. Il San Giovannino, scolpito a tutto tondo con la tecnica classica della scultura rivela solo in alcune zone l’impiego del trapano; le vesti appaiono finemente rifinite e levigate, e sulla nuca è visibile un foro, realizzato probabilmente per l’alloggio di un perno a sostegno di un’aureola oggi dispersa.
La punta del naso, mancante, era stata ricostruita impiegando del gesso.
Definizione del degrado
Ad un primo approccio visivo il manufatto si presentava in discrete condizioni generali. In alcune zone s’intravedeva il marmo translucido, mentre ad un’accurata osservazione ravvicinata si notavano nel busto alcuni piccoli taroli (imperfezioni del marmo), che tuttavia non costituiscono un problema conservativo. Sul lato frontale sinistro, vicino al petto, sul viso e in altre zone si scorgevano dei graffi, alcuni lievi e altri più profondi, nei quali si era depositato lo sporco untuoso, che ne disturbava la percezione visiva. Nella parte bassa del busto fino agli avambracci si evidenziava inoltre la presenza di una spessa incrostazione calcarea, erano anche presenti del gesso, e schizzi di malta color grigio-scuro, forse cemento.
Sdraiando la statua si è verificato che la base era ben fissata al busto; smontandola si è verificato che il collegamento era affidato ad un perno in ferro di dimensioni a dire il vero superiori al necesario (oltre 1,5 cm. di sezione, e alto 13,5 cm.), in realtà costituito da due perni differenti entrambi filettati e saldati insieme a formare una ipsilon.
Questo elemento era fissato a piombo dalla parte della scultura, e inserito con malta a gesso dalla parte del basamento. Sappiamo che la stuccatura e la malta d’allettamento tra il basamento e il busto erano state integrate di recente da una collega restauratrice del museo con gesso scagliola per meglio bloccare i due elementi inizialmente poco stabili. Questa operazione si è rivelata utile perchè ha forse consentito al ferro di non ossidarsi.
Nonostante fosse musealizzata e protetta da una copertura in vetro, l’opera presentava su tutta la superficie un’alterazione cromatica, imputabile alla presenza di sporco untuoso combinato con polveri incoerenti ed alle stratificazioni di protettivi usati in passato che con il tempo si sono ossidati inglobando al loro interno particellato atmosferico. Questa situazione appariva particolarmente evidente soprattutto negli interstizi delle pieghe, nei riccioli della capigliatura e metteva sgradevolmente in risalto i graffi accidentalmente prodottisi sull’intero volume.
La ricostruzione in gesso della punta del naso si era inoltre annerita, aveva perso in alcune porzioni adesione al marmo tendendo quindi a staccarsi.

L’INTERVENTO DI RESTAURO
La metodologia di restauro che si è inteso seguire si ispira al principio del minimo intervento, mirato ad una pulitura equilibrata della superficie, che preservi la patina antica. Lo scopo è quello di restituire al marmo uniformità e coerenza, per una più chiara lettura dell’opera.
Schematizzando le operazioni eseguite sono state le seguenti:
- Eliminazione dello sporco incoerente e untuoso, soprattutto attorno ai bordi dei sottosquadra per meglio farne risaltare i volumi del modellato.
- Rimozione dei materiali non pertinenti (gesso e incrostazioni calcaree).
- Smontaggio del basamento ed eliminazione del perno in ferro.
- Rimozione e ricostruzione della punta del naso.
- Protezione della superficie.
- Progetto per un nuovo basamento.
L’opera è stata inizialmente spolverata con pennelli di setola morbida e con microaspiratore. Gli schizzi di gesso sparsi sulla superficie sono stati eliminati prima ammorbidendoli con impacchi di cotone idrofilo imbevuti d’acqua demineralizzata e in seguito eliminati con il bisturi. Lo smontaggio del basamento è stato eseguito con punteruoli e seghetto modificati secondo le necessità.
All’interno del foro dell’opera sono stati tolti, con impacchi di cotone idrofilo imbevuti d’acqua deionizzata, il gesso e il piombo di fusione di un precedente restauro; si è quindi provveduto alla rimozione del perno con trapano a batteria con punte a ferro, e l’ausilio di punte e punteruoli opportunamente modificati.
Dopo una serie di test di pulitura chimica, si è scelto di utilizzare semplicemente acqua demineralizzata applicata con interposta carta giapponese tenuta sulla scultura per tempi controllati che variavano caso per caso. Dove necessario, si sono eseguiti ulteriori passaggi con batuffoli di cotone idrofilo, imbevuti sempre d’acqua demineralizzata. Durante la pulitura sono state effettuate diverse foto del visibile e ad ultravioletti per raffrontare ed evidenziare le sostanze organiche sulla superficie dell’opera. In alcune zone, dove lo sporco untuoso da rimuovere si rivelava più tenace, si è proceduto con la stessa metodologia, aggiungendo all’acqua deionizzata del tensioattivo neutro. Il tutto è stato in seguito risciacquato con acqua deionizzata.
Nella zona inferiore, dove si riscontrava la presenza di calcare, sono stati eseguiti impacchi controllati di resine a scambio ionico con interposizione di carta giapponese e a seguire abbondanti risciacqui realizzati sia con impacchi di sepiolite con acqua demineralizzata, che con cotone idrofilo.
Un segno blu, tracciato sul fondo per realizzare i fori necessari alla realizzazione dei perni, è stato eliminato con un impacco mirato di sepiolite, alcool etilico denaturato e acetone, interponendo la carta giapponese e in seguito risciacquando con batuffoli di cotone idrofilo imbevuti d’acetone.
Per protezione è stata data una velatura di cera microcristallina disciolta a caldo in ligroina applicandola con aerografo ad ugello 0,7.
E’ stata realizzata una base d’appoggio con resina epossidica per garantire una migliore stabilità dell’opera. L’elemento di sostegno, del tutto a sé stante rispetto alla scultura è autoportante e reversibile.
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