[su_heading size=”18″ margin=”15″]IL SAN GIOVANNINO RESTAURATO
17 ottobre – 29 novembre 2009
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L’AUTORE

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Il San Giovannino (marmo di Carrara, cm. 41x31x18,5) è giunto alla pinacoteca di Faenza dalla chiesa di Santa Maria Maddalena nel 1867, a seguito delle soppressioni.

Si tratta con ogni verosimiglianza, della stessa scultura ricordata nel gennaio 1546, come opera di Donatello, nel primo testamento di Fra Sabba Castiglione, il gentiluomo lombardo che a lungo resse la Commenda di Faenza (così è anche chiamata la chiesa di Santa Maria Maddalena). Tale notizia fa dell’opera una testimonianza di grande rilievo anche per la storia del collezionismo. Uno dei più famosi Ricordi di Fra Sabba (il n. CIX, aggiunto all’edizione del 1549 di quel libro, che fu un vero e proprio best-seller cinquecentesco) rappresenta infatti la formulazione più esplicita dell’idea di collezionismo rinascimentale. E lì si legge che le opere dello scultore quattrocentesco eguagliano “qualsi voglia scultore greco”, tanto da compensare il mancato possesso di sculture antiche (“sì come sono rare non si possono avere senza grandissima difficultà e spesa”).

Non è altrettanto certo, invece, che questo San Giovannino sia la scultura ricordata a Faenza quale opera di Donatello da Giorgio Vasari, come in genere viene ripetuto, ridotta in seguito ad un semplice busto. Anche gli accertamenti condotti in occasione del restauro tendono ad escludere questa possibilità. Ma l’apprezzamento manifestato da un uomo educatosi nella prima stagione del Classicismo come Fra Sabba, per quanto formulato sotto il nome di Donatello (“se altr’opera di sua mano non si trovasse questa sola et una basterebbe a farlo al mondo eterno e immortale”), proietta già l’opera verso una stagione figurativa più matura. Alla quale l’ha poi ricondotta la critica stilistica dell’ultimo secolo, trovando per altro la resistenza della tradizione critica locale, legata al nome di Donatello.

E’ significativo che nel Taccuinetto faentino del poeta Dino Campana questa scultura rimanga individuata con chiarezza tra le rare immagini che esprimono un carattere della città: «figura delicata e luminosa», di cui non si dice l’autore.

Due nomi si sono fondamentalmente fronteggiati fino a tempi recentissimi: quello di Antonio Rossellino e quello di Benedetto da Maiano, avanzato per la prima volta da Adolfo Venturi. Si tratta, non a caso, degli stessi che s’intrecciano nella vicenda critica della maggiore testimonianza che la scultura fiorentina del XV secolo ha lasciato a Faenza: l’arca di San Savino in Cattedrale (ricordata dal Vasari come opera di Benedetto, assegnata in seguito ad Antonio Rossellino e riproposta, ma non unanimemente, come opera di Benedetto).

Non occorre qui, a proposito del San Giovannino, dare la tabella statistica delle proposte. Se il riferimento a Rossellino è stato forse numericamente prevalente, quello al giovane Benedetto da Maiano, certamente attento ad Antonio e vicino al momento della porta della sala dei Gigli in Palazzo Vecchio, ossia nella seconda metà degli anni settanta, sembra reggere meglio il confronto diretto. Di recente chi si è sottratto a questa alternativa non ha tuttavia proposto di collegare il San Giovannino ad un’opera che possa aprire in direzione di una terza via.

Benedetto da Maiano, San Giovannino, Firenze, Palazzo Vecchio
Benedetto da Maiano, San Giovannino, Firenze, Palazzo Vecchio

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