Gino Barbieri – Presentazione Critica

GINO BARBIERI

[su_heading size=”18″ margin=”15″]Presentazione critica[/su_heading]

Le xilografie di Gino Barbieri sono state acquistate dal Comune di Faenza nel 1933 su segnalazione del direttore Roberto Sella.

Gino Barbieri è testimone diretto dell’Italia che mutò tragicamente, passando da un’epoca di sogni e ideali alla disillusione degli stessi che si ebbe con la carneficina della Prima Guerra Mondiale. L’artista cesenate, partito per il fronte come volontario, realizzò un’imponente serie di xilografie di guerra, una sorta di cronaca di vita militare di forte impatto emozionale.

Il suo lavoro è cresciuto di intensità e drammaticità di pari passo all’avanzare del conflitto, svelato con un segno sempre più crudo, nervoso, espressionista.

Nelle prime xilografie della sua vita militare prevale l’aspetto celebrativo della guerra e delle sue tecnologie. Sul prolungarsi del conflitto, però, lo stile di Barbieri muta profondamente. Il segno diventa ancora più frenetico, si avverte sempre più l’urgenza nel segno inciso, molto spesso i solchi sono strappati. Emerge la crudezza e la veridicità delle scene raffigurate, le quali assumono una straziante drammaticità avvicinando le ultime opere all’ambito dell’espressionismo italiano.

È lecito supporre che in Barbieri si sia consumata una profonda crisi.

[su_heading size=”18″ margin=”15″]Bibliografia[/su_heading]

Umberto Giovannini, Gino Barbieri, Sogni di pace, venti di guerra. Le xilografie, Vaca edizioni, Imola, 2004
Rossana Bossaglia – Anna Mavilla, Gino Barbieri, Bruno Ghigi editore, 1989.

«Barbieri è anche pittore ma soprattutto si percepisce come incisore e a questo linguaggio affida il racconto delle sue esperienze militari. Nella guerra le azioni si susseguono l’una dopo l’altra e l’incalzare degli eventi lo costringono ad avere un approccio adeguato ai nuovi momenti. Tra un’azione e l’altra, disegna intensi volti di soldati e i loro momenti di vita che poi consegna al legno. Le matrici non sono incise sul comodo piano del tavolo dello studio, ma le realizza in trincea seduto per terra con le tavolette appoggiate sulle ginocchia. Il segno calcolato di un tempo ottenuto con il bulino diventa più nervoso. Ora usa anche sgorbie e coltellini e il segno risulta più frenato, dominato; sostanzialmente è più libero. La tecnica non è mai separata dagli scopi rappresentativi ed è anche con questa considerazione che si deve leggere il percorso dell’artista»

Alberto Mingotti, Immagini dal fronte, La Piê”, 2008, a. LXXII nn. 3-4, pag. 55.

«La xilografia Il mare nostro fa parte dell’album I soldati d’Italia pubblicato dall’editore veneziano Fabbris nel 1917 con sei tavole xilografiche di Gino Barbieri. In questo lavoro, come in Navi da guerra, anch’esso pubblicato nell’albume del 1917 emerge l’aspetto celebrativo della guerra e delle sue tecnologie, senza però offrire alcuno spazio alla declamazione e alla retorica. Nella composizione della xilografia c’è qualcosa, molto, che è un già visto ed è la coralità dell’azione collettiva espressa con maestosa compostezza. Quei marinai vengono da lontano e hanno girato molto. La placida maestà delle forme suggerisce la guerra come l’avevano vista i Fiamminghi, secoli addietro. Oltre il primo piano il mare pullula di navi e, contro le nuvole che chiudono la scena, si levano i fumi delle ciminiere e delle cannonate. I nostri eseguono le operazioni di carico dell’obice senza alcune frenesia e senza tradire spavento: sono uomini che pare stiano facendo la cosa più normale del mondo, quasi fossero intenti alla pesca. E’ ipotizzabile che quella che a prima vista era una maestosità, meglio si definisca come una passività, un cupo soggiacere dell’uomo al fine. Quei volti stanno dentro al presente senza alcuna domanda, neanche quella di senso rispetto al loro destino. A ciò aderisce l’artista con straordinaria sensibilità, partecipando ad una condizione che nega qualsivoglia fremito dell’io».

Umberto Giovannini, Gino Barbieri, Sogni di pace, venti di guerra. Le xilografie, op. cit., pag. 83.

«Al ritratto del Poeta il Barbieri dovette iniziare a lavorare subito dopo il primo incontro del 2 marzo 1917 [… come documentato da una lettera non datata in cui Barbieri scrive] “stavo preparando uan xilografia ritratto di D’Annunzio e avevo già fatto un disegno dal vero quando è venuto l’ordine di partenza. Ma spero di eseguire l’incisione in trincea aiutandomi anche con alcune fotografie che ho trovato a Cervignano alla sua villetta. Una sua lettera ha servito a farmi assegnare alla brigata a cui Egli appartiene (…) … come è buono D’Annunzio!!! Bisogna infuocarsi d’amore per lui per forza, se proprio non si è degli imbecilli” (cfr. Lettera di Barbieri a De Carolis, da Cervigano, s.d. Archivio De Carolis).
Il “disegno dal vero” è ragionevolmente quello a sanguigna chiara del Gabinetto Disegni e Stampe della Pinacoteca di Cesena, stupefacente per l’intenso magnetismo dello sguardo, per la soffusione luminosa del volto che emana luce più che esserne investito e per il moto signorile della testa, che induce ad una ammirazione incondizionata, che si sublima – come nel nostro – in venerazione.
Radicalmente diverso è il timbro formale e sentimentale della redazione xilografica, che alla disposizione essenziale presente nel disegno sostituisce una ambientazione “eroica” di più ampio respiro e una più complessa elaborazione, dove l’artista squaderna l’intero campionario di nudi eorici e geni alati del collaudato repertorio decarolisiano. In mezzo al fluire continuo di corpi e di ali, che si snoda sul fondo come un rincorrersi di onde, dalla zuffa travolgente degli ignudi, audacemente scorciati, emerge in primo piano il volto del Poeta, di cui notiamo, rispetto al disegno, la notevole caduta di tensione nell’espressione distaccata e un poco spenta».

Rossana Bossaglia–Anna Mavilla, Gino Barbieri, op.cit., 1989, pp. 88-89

Nella xilografia Fanti «vi sono rappresentati tre volti assorti, cui la ripresa in primissimo piano conferisce un’apparenza monumentale. Si tratta di soldati che hanno visto da vicino gli orrori della guerra. I loro visi paiono scolpiti dai segni lasciati da tali esperienze, nei quali la luce penetra come ricercandovi un qualche significato. Barbieri ha ritratto in quest’opera dei compagni, cogliendo nei loro sguardi quella silenziosa metamorfosi interiore che segna con il marchio profondo del dolore l’esistenza del fante in trincea. Ciascuna delle figure ritratte è assorta in un proprio mondo incomunicabile di meditazioni, astratta da una terribile realtà che tuttavia incombe in secondo piano, allusa dal fumo dei colpi e dalle rovine. Ciò che maggiormente connota questi uomini è l’intensità dello sguardo: “Se avrò vita” dirà Gino Barbieri “non dipingerò che gli occhi! Li hai osservati gli occhi di coloro che tornano dalle battaglie? Di coloro che videro così da vicino la morte? C’è tutto un poema di dolore: io vedo dentro di essi le anime: perché soltanto le anime sorvivono a questa tragedia che strazia le carni: solo le anime sono la nostra potenza. Abbiamo troppo goduto, prima, ti ricordi? Ora scontiamo. E’ il nostro purgatorio” ».

(cit. in M. Campana, Come morì il pittore L. G. B., in Corriere padano,30 sett. 1940)

http://www.artegrandeguerra.it/2012/01/agg-n-5-3.html

«Questa piccola inquietante xilografia, [Fanti] rende meglio di qualunque altra il senso e l’orrore della guerra e soprattutto, l’incomunicabilità di questa sconvolgente esperienza, qui mirabilmente sintetizzata dall’espressione torpida e quasi inebetita del fante in secondo piano. In questa tavola, inoltre, Barbieri sembra precisare ulteriormente la propria scelta culturale, oltre che figurativa, di un messaggio scabro ma efficacissimo, avaro di particolari narrativi, che rifugge dal macabro, come dall’allegoria o dal simbolo pr andare in senso opposto alla mitizzazione esaltante della guerra sola igiene del mondo».

Rossana Bossaglia–Anna Mavilla, Gino Barbieri, op.cit., pp. 151-152