[su_heading size=”18″ margin=”15″]FRANCESCO NONNI XILOGRAFO
12 dicembre 2009 – 28 febbraio 2010
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LA XILOGRAFIA

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La xilografia è una tecnica, d’antiche origini, di incisione su legno utilizzata per riprodurre copie di disegni e iscrizioni. Su di una tavoletta di legno -la matrice -, una volta tracciato o riportato il disegno, si procede con strumenti appositi ad asportare le parti che non costituiscono l’immagine, risparmiando le figure e i loro contorni che rimarranno quindi in rilievo.

Sulla matrice debitamente inchiostrata va steso il foglio su cui, tramite pressione, rimarrà impressa l’immagine, speculare rispetto a quella intagliata. Per un buon risultato del lavoro si usano legni di grana compatta e senza lunghe fibre. I più indicati sono quelli fruttiferi, come il ciliegio e il pero o i durissimi sorbo e bosso.

Esistono due tecniche xilografiche che si differenziano in rapporto agli strumenti utilizzati.
La xilografia a intaglio è la tecnica più antica (risale, in Europa, ai secoli XI-XII) ed è eseguita esclusivamente con l’utilizzo di sgorbie e coltelli, su matrici di filo. Tavolette di legno tagliate secondo piani paralleli al tronco, talchè presentano le fibre (la venatura) nella loro lunghezza. La xilografia su legno di filo permette l’uso di legni di grandi dimensioni e, conseguentemente, un intaglio gestuale, libero e istintivo.
L’altra tecnica è l’incisione xilografica (l’invenzione si fa risalire all’inglese Thomas Bewick, nel 1775) ed è eseguita su legno di testa. La matrice si ricava tagliando il tronco non più longitudinalmente ma trasversalmente rispetto alla sua altezza, ottenendo una superficie molto compatta e omogenea, dato che il legno di testa presenta le fibre “troncate”. Una matrice di testa s’incide con le punte e i bulini utilizzati per l’incisione calcografica diretta, permettendo un segno preciso e finissimo.

La xilografia policroma, che compare già alla fine del Quattrocento, per riprodurre l’effetto delle xilografie monocrome acquerellate, fa uso l’ulteriori matrici che creano fondi colorati o parte di questi.

Nei primi anni del Cinquecento furono introdotte altre due tecniche particolari: una olandese, il camaïeu, inventata da Jost de Negker attorno al 1510. L’altra italiana, il chiaroscuro, che Ugo da Carpi adottò nel 1516. Questi due procedimenti, molto spesso confusi, sono completamente diversi.

Per il camaïeu occorrono almeno due legni: uno su cui è inciso il tratteggio del disegno, che può essere stampato da solo, l’altro che va a costituire le tinte piatte di sfondo con eventualmente piccole decorazioni o integrazioni paesaggistiche.

Nella xilografia a chiaroscuro invece vi sono matrici incise “a piatto”, che formano cioè le tinte del disegno, alla prima più chiara se ne sovrappone una di tonalità più scura che accentua alcune parti e rialza i valori tonali del disegno, poi eventualmente una terza ancora più scura e così via. Una matrice per ogni tinta per ottenere, mediante sovrapposizione, più toni: con l’utilizzo di due matrici si ottengono tre differenti toni; con tre matrici ben sette toni, ecc. Evidente quindi come in un camaïeu il primo legno inciso a tratteggio basterebbe da solo per dare il disegno, mentre nel chiaroscuro italiano è indispensabile stampare più legni.

(tratto da: U.GIOVANNINI, Colore e Libertà, la bella stagione della xilografia in Romagna, pag. 138, Russi, Vaca, 2005)

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