Giovanni Battista Gatti, ebanista e intarsiatore di fama europea

GIOVANNI BATTISTA GATTI, EBANISTA E INTARSIATORE DI FAMA EUROPEA
Mostra a duecento anni dalla nascita
11 novembre 2016 – 29 gennaio 2017

PRESENTAZIONE

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Sulle vicende biografiche di G. B. Gatti è ancora oggi fondamentale una biografia, pubblicata a Faenza nel 1890 dal canonico Filippo Lanzoni, che si basa su informazioni di prima mano fornite dal canonico Antonio Gatti, fratello dell’artista.

Nato a Faenza da umile famiglia giusto duecento anni fa, il 22 luglio 1816, ancora fanciullo frequentò il laboratorio del convento di S. Domenico dove operava una singolare figura di frate artigiano, Girolamo Bianchedi, versatile esperto di arti applicate fra cui l’intaglio del legno. Frequentò poi le botteghe di altri falegnami della città, assimilando alla perfezione tutti i segreti della lavorazione dei mobili. Successivamente si trasferì a Firenze dove frequentò l’atelier di Luigi Falcini, uno dei maestri specializzati nella produzione di intarsi lignei ispirati al Rinascimento: motivi decorativi ripresi più o meno fedelmente da manufatti del Quattro e Cinquecento, fra cui palesi derivazioni dalle grottesche, venivano utilizzati per impreziosire mobili anche di piccole dimensioni.

Questo filone neorinascimentale che si affermò a partire dagli anni Quaranta del secolo, particolarmente in Toscana e specialmente a Siena e Firenze, era caratterizzato anche dall’uso di legni scuri, fra cui spiccava l’ebano, decorati con intarsi di avorio, osso, madreperla e pietre colorate. In questo ambiente Gatti apprese i segreti della maniera a cui, per i quasi cinquant’anni successivi, rimase convintamente fedele e che fu la ragione del suo notevole successo. Tornato a Faenza aprì una bottega in proprio e riscosse subito il primo di una lunga serie di premi che accompagnarono il suo itinerario artistico.

Il primo riconoscimento istituzionale attribuito a opere da lui prodotte risale al 1841, quando l’Accademia di Belle Arti di Ravenna espose un suo saggio presentato al concorso annuale; oltre al Lanzoni ne dà notizia il periodico “L’Imparziale” nel numero del 20 giugno 1841: si trattava di un “tavolino di legno intarsiato a madreperla” che ricevette il “Premio Primario” e che fu acquistato dal cardinale Luigi Amat all’epoca Legato di Ravenna.

Un secondo premio gli venne attribuito ad un concorso per arti applicate a Forlì nel 1843 (il diploma conferitogli in quella occasione è qui esposto). In questo stesso anno avvenne la svolta decisiva della sua carriera: il cardinale Amat, che come si è visto fu da subito un suo convinto estimatore, fu richiamato a Roma per ricoprire la carica di prefetto della Congregazione di Propaganda Fide e lo convinse a trasferirsi là. Nella capitale, in cui visse fino agli ultimi giorni, la sua attività riscosse consensi molto ampi di cui fu conseguenza un notevole successo, anche di carattere economico, come è testimoniato da un articolo apparso sul settimanale romano “L’Artigianello” del 11 ottobre 1845: lo stile di Gio. Battista Gatti di Faenza…ha destato l’ammirazione degli intendenti e il card. Riario ..si è adeguato di fargli avere una grande medaglia d’oro.

La sua espressività artistica si specializzò nella creazione di mobili, cofanetti, scrittoi, arredi religiosi, specchi in ebano con tarsie di avorio e madreperla, con inserti di pietre policrome. La sua notorietà fu ampliata su scala internazionale dalla partecipazione alle più importanti esposizioni universali in Italia, nelle maggiori capitali d’Europa e negli altri continenti. Queste rassegne, che caratterizzarono la vita culturale, artistica ed economica del mondo industrializzato a partire dalla grande mostra di Londra del 1851, diedero ampio spazio ai prodotti dell’ artigianato artistico di cui Gatti fu uno dei creatori più noti ed affermati come è testimoniato dai premi e dai riconoscimenti, fra cui la Legion d’Onore, che gli furono assegnati.

Parigi 1855, 1862 e 1878, Londra 1862, Dublino 1865, Vienna 1873 sono alcune delle città in cui Gatti si recò personalmente per accompagnare le opere da esporre e che, quasi sempre, venivano acquistate da compratori affascinati, fra l’altro, dalla perfezione tecnica che rasentava il virtuosismo: risultano essere ben diciotto le esposizioni internazionali a cui partecipò. Anche in Italia si videro sue opere alle mostre che, sempre più di frequente e con discreta disponibilità di mezzi, si tenevano nelle città più importanti e nei centri di minori dimensioni.

Nel 1875 Gatti, sempre molto legato alla città che in cui era nato e che lo aveva visto muovere i primi passi nel campo dell’arte, inviò a Faenza una ventina circa di sue opere all’”Esposizione Agrario Industriale Artistica del 1875 in Faenza”, rassegna che la città organizzò per mostrare il livello di crescita economica seguita all’Unità d’Italia nei vari settori di attività fra cui spiccava l’artigianato di elevato livello. Dalle cronache del tempo emerge la viva ammirazione suscitata dalle opere prodotte nella sua bottega in cui ebbe, fra i collaboratori, anche il faentino Eugenio Argnani, fratello di quel Federico che, a seguito dell’Esposizione, riuscì a raccogliere in quegli stessi ambienti, le sale dell’ex collegio dei Gesuiti, la maggior parte delle opere d’arte del Comune che formavano la Pinacoteca Civica. Pochi anni dopo, nel febbraio del 1879, questa venne regolarmente aperta al pubblico.

Fu proprio la Pinacoteca, con l’annesso Museo Civico che fu destinato a raccogliere le testimonianze della storia cittadina, l’istituto a cui Gatti donò alla propria scomparsa, avvenuta nel 1889, tutto ciò che era rimasto nel laboratorio romano, compresi i diplomi e le onorificenze che gli erano stati assegnati nel corso della sua lunga carriera.

Al testamento con cui venne disposto il lascito venne allegato un accurato inventario che elenca i materiali utilizzati per la creazione delle opere, gli strumenti di lavoro, le medaglie, i diplomi d’onore e alcuni prodotti della sua creatività. Negli anni successivi la raccolta, a cui venne attribuito il titolo di Museo Gatti, fu arricchita grazie ad altri arrivi. Pressoché contemporanea, in quello stesso 1889, fu la vendita, da parte del fratello Antonio, della grande croce che qui si espone; in tempi a noi più vicini furono poi consegnate altre opere degne di nota. Nel 1978 giunse la donazione di Alba Ghigi, ravennate di origine residente a Bologna, composta da sei oggetti fra cui spicca lo specchio racchiuso da una cornice di ebano e avorio che viene mostrato per la prima volta in questa occasione.

Nel 1984 Alba Bubani di Faenza ha donato il grande tavolo di ebano intarsiato in avorio, uno dei pezzi più notevoli del fondo di pertinenza della Pinacoteca, da alcuni anni esposto presso il Museo Nazionale dell’Età neoclassica di Palazzo Milzetti che costituisce, quindi, un’appendice di questa mostra rievocativa della figura di Giovanni Battista Gatti.

Sauro Casadei

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