Arte faentina nella Firenze dell’Unità d’Italia

[su_heading size=”18″ margin=”15″]Arte faentina nella Firenze dell’Unità d’Italia
La presenza di Achille Farina e Michele Chiarini alla esposizione nazionale del 1861
18 febbraio – 1 maggio 2011
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INTRODUZIONE

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La mostra intende documentare la presenza di due artisti faentini alla prima esposizione dell’Italia unita, realizzata a Firenze nel 1861. Nell’occasione la Pinacoteca mette in mostra tre opere realizzate da Achille Farina, grande protagonista nell’arte cittadina di metà Ottocento, esposte nella mostra fiorentina.
Le tre opere sono di carattere storico, secondo i prevalenti orientamenti artistici del periodo, e rappresentano Giuditta con la testa di Oloferne, il trionfo di David e la malinconia di Saul.

L’esposizione nazionale del 1861

Dopo l’Esposizione universale di Londra del 1851, Parigi del 1855 e in vista del nuovo evento londinese del 1862, le Esposizioni eran quanto mai in auge. Nell’Italia appena unificata gli esponenti del mondo politico e produttivo avevano numerosi motivi per organizzare una manifestazione, la prima del genere realizzata dal neonato stato italiano. Lo scopo principale era quello di mostrarsi realmente uniti, sia agli occhi degli osservatori stranieri che, soprattutto, a quelli degli italiani.
Venne così organizzata l’Esposizione nazionale di Firenze del 1861 con l’intento esplicito di vincere il prevalere degli interessi localistici e, naturalmente, favorire confronto, imitazione e commerci. Del resto, all’epoca era ancora diffusa l’idea che l’abolizione dei dazi interni sarebbe bastata, una volta fatti conoscere i prodotti italiani, a creare un mercato nazionale dinamico. Proprio per l’alta valenza politica della manifestazione, le merci provenienti da Veneto e Lazio, non ancora italiane, non furono sottoposte a nessuna preselezione e si permise, in generale, di far affluire le merci per tutta la durata dell’esposizione, che restò aperta per circa tre mesi.Alla mostra di Firenze partecipò anche la città di Faenza. Nella sezione Ceramica Ferniani Annibale espose piatti di maiolica dipinti e vasi della sua fabbrica, nella sezione Floricoltura e Orticoltura espose Lodovico Caldesi, patriota a Vicenza nel 1848 e nella Repubblica Romana, deputato nella Costituente delle Romagne e nel Parlamento Italiano. Un settore particolarmente ampio fu quello dedicato all’arte: 997 opere di pittura e 426 di scultura di artisti di tutte le parti d’Italia. Scesero in massa i napoletani con in testa Domenico Morelli che riesponeva gli “Iconoclasti”, che nel 55 a Napoli avevano provocato emozioni e discussioni, insieme ad altre sei opere, tra cui il “Conte Lara”, “Mattinata fiorentina” e “Bagno Pompeiano”. Vi erano poi gli “Antichi Accademici” con Smargiassi e Mancinelli ad infine Cammarano, Toma e Rossano. Fra i lombardi l’Hayez, il Piccio, Gerolamo Induno con quattro opere tra cui, come Fattori, una “Battaglia di Magenta”, Inganni, Pagliano (con la tanto attesa figlia di Tintoretto), Scrosati e Valentini. Con i Piemontesi: il Camino, il Pittara e Raymond. Con gli Emiliani: Fontanesi, Bertelli ed Antonio Boldini (padre di Giovanni), Malatesta e Pasini. I Romani erano il gruppo maggiormente numeroso: Nino Costa e Fracassini ai quali si erano aggiunti per elezione Chierici da Reggio Emilia, il siciliano Cumbo, il ligure Raggio, Vertunni ed altri. Dal Veneto Quarena e dalla Sicilia colui che venne chiamato ” ladro di sole” Francesco Lojacono e Filippo Liardo. Infine i Toscani: apriva l’elenco Beppe Abbati, con tre interni: due di San Miniato ed uno di Santa Maria Novella. Poi Carlo Ademollo, il napoletano Saverio Altamura con “Funerali di Buondelmonte”, “Buon tempo antico”, “Il Tasso presso sua sorella”, “Una monaca”. Vito d’Ancona con “Dante che incontra Beatrice”, Luigi Bechi e Bezzuoli. Inoltre vi erano Odoardo Borrani che espose “Dintorni di S.Marcello”, “Mietitura del grano sulle montagne” ed il “26 Aprile 1859”, Vincenzo Cabianca che espose : “Avola”,”Ferriera nella Versilia”, “Mattino” e “Novellieri fiorentini del’300” Fattori con “Recognizione militare” e “Magenta”, che recava l’annotazione: non finito. Inoltre, Annibale Gatti con “Gloria di S.Verdiana”, Gelati, Gordigiani, Lapi, Lalli, Lega con “Imboscata di bersaglieri Italiani”; Moradei e Giuseppe Moricci, Mussini, Pointau con “Renaioli sull’Arno”; Pollastrini e Puccinelli, Rapisardi, Senno e Sanesi. Telemaco Signorini aveva “La cacciata degli Austriaci dalla borgata di Solferino”, “Veduta di Firenze da Monte alle croci”, “Campagna con vacche” e “Il Mercato della Spezia”. Vi erano infine Serafino De Tivoli con “Paese con animali”, “Campagna romana”, “Bosco e veduta del Valdarno”, Stefano Ussi con la sola “Cacciata del Duca di Atene”.Questa mostra svoltasi in un momento particolare della vita italiana, quasi un motivo per radunare dalle diverse parti d’Italia tanti talenti, segna un punto fermo per quello che riguarda la pittura moderna italiana ed in particolare della macchia. Scorrendo in particolare i quadri che in quella mostra vennero esposti , possiamo notare il lento cambiamento che stava avvenendo: il passaggio dalla pittura di tema storico e di esecuzione accademica, alla pittura di osservazione della natura.
Anche se ancora molti artisti in un esposizione ufficiale avevano scelto di esporre un opera di genere tradizionale preferendola a quelle che per molti rappresentavano gli studi più recenti.
Nella sezione d’arte furono presenti anche due faentini: Michele Chiarini e Achille Farina.
Michele Chiarini presentò una unica opera, in catalogo con il numero 8050, dal titolo “Pigmalione nell’atto che si vivifica la statua da sé medesimo scolpita”.
Achille Farina presentò cinque opere: Giuditta (con il numero 8058), L’Amor Nazionale (8059), Malinconia di Saul (8060), Ritratto dell’artista fatto da sé stesso (8061), Il trionfo di David (8062).

Achille Farina
Pittore, acquafortista, litografo, ceramista nato a Faenza nel 1804 e morto nel 1879.

La formazione dell’artista si svolge prima presso studi privati di artisti che facevano capo alla Scuola di Disegno di Faenza, poi nella Firenze di età romantica dove approfondisce sia la pratica accademica del disegno studiando dall’antico, sia quella della pittura ad olio con il Benvenuti, tanto da acquisire una grande abilità nel trattare ogni genere di soggetto (classico, storico, letterario, biblico ecc.). Dopo aver conosciuto Francesco Rosaspina, si specializza nella grafica ed inizia una fruttuosa collaborazione con le Litografie bolognesi Zannoli e Angiolini contribuendo a diffondere le immagini di alcune decorazioni di Felice Giani nei palazzi di Faenza (Album “Figure scelte di Felice Giani incise all’acquaforte ad uso di qualunque artista”) e realizza alcune tavole litografiche per le “Vite e ritratti di XXX illustri ferraresi”, Bologna 1833. Divenuto professore dell’Accademia di Belle Arti, esercita l’insegnamento ad Arezzo, Bologna, Firenze, Modena, Siena. Nominato nel 1851 Maestro di disegno presso la Scuola Comunale di Faenza, si trasferisce definitivamente nella città natale, dove svolge l’insegnamento effettivo dal 1852 al 1864 ricoprendo anche la carica di Direttore; tra i suoi migliori allievi si ricordano Antonio Berti, Tommaso Dal Pozzo e Giovanni Piancastelli. Tra i lavori di pittura realizzati a Faenza: il restauro della pala di Innocenzo da Imola in Cattedrale, i quadri a tempera per la chiesa di S.Orsola (poi distrutta), le decorazioni della Cappella della Concezione nella chiesa dei Cappuccini, oltre a numerose opere realizzate con grande capacità disegnativa e forte gusto per il colore.
Nel 1864 lascia l’insegnamento per dedicarsi alla ceramica, dimostrando grande abilità sia nelle maioliche di genere rinascimentale, particolarmente apprezzate dalla cultura storicistica dell’epoca, sia nella sperimentazione di nuove tecniche, soprattutto quella “ad impasto” che richiedeva grande virtuosismo e che consentiva di ottenere sulla maiolica gli effetti della pittura ad olio. Dopo una prima collaborazione con la manifattura Ferniani, utilizza una fornace nei pressi della propria abitazione inaugurando ufficialmente l’attività in proprio nel 1869 (il piatto in maiolica, datato 28 novembre 1869, a ricordo dell’inaugurazione della piccola fornace, è attualmente al Museo Internazionale delle Ceramiche) e ricevendo consensi alle Esposizioni di Milano e Forlì del 1871, dopo le quali gli fu attribuita la croce di Cavaliere.
Nel 1872 si impegna per costituire una Società Industriale Artistica Ceramica, allo scopo di riunire le esperienze della manifattura Ferniani con le proprie capacità e direzione artistica, oltre all’appoggio di un gruppo di personalità faentine. Fallito l’esperimento dopo pochi mesi, il Farina si riorganizza fondando la Società Anonima Ceramica A.Farina e Compagni, con una produzione sia artistica che industriale; nel 1873 si presenta all’Esposizione di Firenze e a quella di Vienna ottenendo grandi successi oltre alla medaglia di I classe del Progresso; analogamente gli vengono attribuiti medaglia d’oro e diploma alla grande Esposizione di Faenza del 1875. I consensi premiarono le sue capacità artistiche e tecniche: infatti il Farina era in grado di raggiungere altissimi risultati nel genere tradizionale anche con l’impiego del lustro, avendo come collaboratore il Pieri di Gubbio oltre al Banzi e al Damiani, ma anche cercando il rinnovamento della tradizione. E’ nota l’abilità nel genere del ritratto a sanguigna o con la pittura ad impasto.
Nel 1876 si costituisce la Società Ceramica Farina che partecipa all’Esposizione di Filadelfia del 1876 e di Napoli del 1877; dopo lo scioglimento per gli alti costi di gestione ed il ritiro del Farina dalla Società, soprattutto per l’eliminazione della produzione artistica, nel 1877 viene organizzata la A.Farina e Figlio, che tuttavia non ottiene il successo sperato all’Esposizione di Parigi del 1878.

Michele Chiarini
Pittore, nato a Faenza nel 1805 e morto nel 1880.

Compì la prima formazione giovanile con Mattioli, Spadini e Baldini presso la Scuola di Disegno di Faenza come allievo di P.Saviotti, che lo avviò anche alla decorazione murale. Dopo il periodo trascorso a Bologna come allievo dell’Accademia Clementina (1825-26), nel 1827 si trasferisce a Roma, accolto da Tommaso Minardi, ma già nel 1829 deve rientrare in Patria per motivi politici. Risale al periodo 1830-32 la collaborazione con Gaetano Bertolani per la decorazione ornamentale e figurata del presbiterio e della cupola della chiesa del Collegio Emiliani di Fognano, al 1836 i quadretti a tempera su muro con Storie della Vergine nella chiesa di San Sigismondo a Faenza, oltre ad un’attività di collaborazione con Antonio Liverani per decorazioni di figura in diversi palazzi e case faentine.
Del 1834 è la pala d’altare con Madonna e Santi della Pinacoteca Comunale di Faenza, del 1837 il Sant’Andrea Avellino nella chiesa di Santo Stefano a Faenza, che rivelano una correttezza accademica ma anche una raffinata e accurata scelta cromatica.
Ritornato a Faenza nel 1841, fu chiamato dall’architetto E.Marconi in Polonia per decorare villa Potocky a Wilanow e la cupola di San Carlo a Varsavia (ora distrutta).
Al rientro in Italia (1845) le vicende della sua vita furono fortemente segnate dall’attività politica per la partecipazione alla “Giovane Italia” e dalle imprese patriottiche come combattente nel Veneto nel 1848 e in difesa della Repubblica Romana nel 1849. Bandito per la sua attività rivoluzionaria, tranne un soggiorno ad Alessandria d’Egitto, fu esule a Londra ove sembra lavorasse nel laboratorio fotografico dei faentini fratelli Caldesi dipingendo riproduzioni fotografiche. Il rientro in Italia avvenne nel 1859, ma le difficili condizioni di salute ne segnarono anche la progressiva inattività pittorica.

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