OMAGGIO A DOMENICO BACCARINI (1882-1907)
I dipinti dalle Collezioni Comunali a cento anni dalla morte dell’artista faentino
Giugno – Dicembre 2007
Dall’ampia raccolta di opere di Domenico Baccarini nelle collezioni della Pinacoteca Comunale, costituita tra l’altro da ventotto dipinti, più di trenta sculture e i 154 disegni pubblicati nel recente catalogo generale edito da Electa, la selezione voluta come omaggio per i cento anni dalla morte dell’artista faentino ha privilegiato le opere oggetto di recente restauro realizzato dal Laboratorio di Restauro di Ravenna grazie al Museo d’Arte di Ravenna in occasione della mostra “Domenico Baccarini. Una meteora del primo Novecento” tenuta alla Loggetta Lombardesca dal 25 febbraio al 3 giugno 2007.
Di grande impatto è sicuramente il trittico L’umanità di fronte alla vita, ovvero le passioni umane. Opera iniziata nel 1904 e rimasta incompiuta, a segnare lo sforzo maggiore per un’opera di grandi ambizioni. Un’umanità nuda e dolente è protagonista nei diversi pannelli. Con corpi di moderni dannati immersi in un’atmosfera sinistra e in uno spazio indefinito. Dove l’unico volto ben definito è quello della Bitta al centro del cerchio nel pannello centrale. «C’è un’eco di drammaticità michelangiolesca in quei nudi terrosi che s’accalcano come figure di un girone dantesco». Ha scritto Claudio Spadoni nel catalogo generale dei dipinti da lui curato insieme a Stefano Dirani, definendo l’opera «intensa anche se incompiuta» che «si potrebbe intendere come una sorta di testamento spirituale».
Altra opera non finita che ha avuto necessità di un restauro è la famiglia in lutto (la strada), databile al 1903. «Traspare da questa tela – ha scritto Orsola Ghetti Baldi – l’assimilazione da parte di Baccarini delle indicazioni del simbolismo-espressionismo più avanzato. L’impaginazione dell’insieme e i personaggi rappresentati ci ricordano, nella loro allucinata fissità quelli di E.Munch, archetipi come questi di Baccarini di una condizione umana universale, prototipi psicologicamente emblematici». Rimando a Munch che Spadoni ha precisato parlando di «pacatezza di racconto umanissimo, senza complicazioni ossessive».
Proprio con un rimando a queste due opere, commentate nella mostra di Ravenna, Renato Barilli ha scritto che «non è possibile in alcun modo, anzi è da considerarsi addirittura fuorviante menzionare il clima simbolista» per Baccarini.
«I simbolisti – continua Barilli – cercavano consolazioni mistiche, facendo in modo che i tratti del volto evaporassero nel cosmo. Mentre il Baccarini fruga, scava con furore entro i tratti fisionomici, si tratti dei suoi propri, o dei familiari, madre, sorella, e in particolar modo la donna amata, la Bitta. O se si allontana dalle singole immagini per darci scene di gruppo, anche qui non ci sono consolazioni. Bensì duri referti su una consolazione esistenziale, su un “male di vivere”, come risulta da la famiglia in lutto, e più ancora da L’Umanità dinanzi alla vita. Dove i corpi si agitano, si accalcano, facendo spettacolo delle loro stesse anatomie pesanti, ossessivamente esibite. Da qui si può fare un collegamento con quel grande espressionista avanti lettera che fu Picasso, quando ancora lavorava a Barcellona. Prima di trasferirsi a Parigi e di raffinare il suo linguaggio dando luogo ai periodi blu e rosa».
La Bitta che allatta Maria Teresa è la terza opera restaurata per l’occasione, sempre grazie al Museo d’Arte di Ravenna. E’ una delle molte opere (disegni, dipinti, plastiche), in cui Baccarini ritrae la sua compagna-modella Elisabetta Santolini, la Bitta, dandocene di volta in volta ritratti venati di sensi espressionistici o simbolici.
«Colpisce di questa immagine di intimità domestica – ha scritto Sauro Casadei – la forte componente espressiva incentrata sullo sguardo intenso della Bitta e sulla macchia di rosso che, occupando tutto il centro del quadro, mette in secondo piano e quasi annulla le notazioni descrittive del povero interno».
A rappresentare la lunga serie di autoritratti viene proposto quell’Autoritratto con sottana, databile 1905, in cui l’artista si è ritratto a mezza figura con un paio di pantaloni nella moda degli ambienti artistici del periodo.
Completano l’esposizione due ritratti femminili. Il ritratto della sorella Giovanna, ovvero l’attesa, del 1903. Che risente ancora della derivazione naturalistica ottocentesca dalla scuola di Antonio Berti. O dell’influenza dei toscani, dal Fattori a Lega. Anche se già si evidenziano, specie nel volto della sorella, aspetti della tecnica della divisione filamentosa del colore, sperimentata in altre opere dello stesso anno. Si viene a delineare una nuova solidità nella struttura dell’opera tra la compattezza della figura ritratta e lo sfondo. Dove una riproduzione di quadri dell’artista crea blocchi geometrici.
Il ritratto di donna seduta, databile 1906 e rimasta incompiuta a causa forse della malattia, si caratterizza per il tratto puntiforme. Va oltre alla costruzione dell’immagine. Per diventare elemento decorativo a motivi geometrici nello stile di Klimt e per il volto androgino della donna assimilabile a quello delle femmine di F. Khnopff.
[su_heading size=”18″ margin=”15″]ALCUNI DIPINTI DELLA MOSTRA[/su_heading]