Luca Longhi (Ravenna, 1507 – 1580)

Luca Longhi (Ravenna, 1507 – 1580)

 

Luca Longhi nacque a Ravenna il 14 febbraio 1507 da Francesco di Andrea e da Antonia di Vincenzo di Cunio, secondo di tre figli tutti destinati a diventare pittori.

La famiglia, originaria di Bologna, pare si fosse trasferita a Ravenna all’inizio del XVI secolo con Francesco di Andrea, grazie alla sua attività commerciale: i documenti lo qualificano a volta come lardarolus, altre volte come tricolus o farctor.

Sulla formazione del Longhi mancano notizie e si presume abbia avuto luogo nella bottega di un artista residente in ambito ravennate. Gli studiosi, tra i quali risalta Alessandro Cappi, il primo a redigere una biografia dell’artista, amarono immaginare l’artista svincolato da scuole di città limitrofe o dai grandi maestri, incoraggiando dunque le affermazioni di Vasari che lo voleva frequentatore dei soli luoghi natii.

Sembra difficile infatti riconoscere nella delicatezza e grazia della pittura del Longhi la vena nordica di Francesco Zaganelli, attivo a Ravenna nel corso del secondo e terzo decennio, o nella tarda produzione di Baldassarre Carrari, che lascia a Ravenna numerose opere databili al primo decennio del secolo. Piuttosto, ci si può rivolgere alla dolcezza compositiva di Marco Palmezzano e Niccolò Rondinelli: già nelle opere giovanili del Longhi, quale La Madonna in trono con il Bambino fra i Santi Valeriano e Lucia, commissionatagli nel 1528 da Antonio Zampeschi per l’altare di Santa Lucia della collegiata di San Ruffillo in Forlimpopoli, si possono riscontrare i caratteri “misurati e ingenui quanto geniali e piacevoli”, che avranno successo in tutta la sua produzione successiva.

Nel 1529 il Longhi porta a termine lo Sposalizio di Santa Caterina con quattro Santi, dipinto già in San Vitale di Ravenna (ora nella Pinacoteca Civica della città).

Modello ispiratore di quest’opera sembra essere stato il dipinto che Francesco Zaganelli realizzò per la chiesa dell’ospedale di Santa Caterina in Ravenna (oggi nel Seminario Arcivescovile). Il repertorio decorativo che arricchisce l’architettura del trono richiama a soluzioni già adottate da Palmezzano e dagli Zaganelli, piuttosto che a quelle fantastiche realizzate da Baldassarre Carrari, importate da modelli ferraresi, in particolare dalla Pala Portuense di Ercole de Roberti del 1480, oggi a Brera. 

Altra pala del giovane Longhi, eseguita a ventitré anni ancora per Antonio Zampeschi, è la Madonna in trono col Bambino tra i Santi Rufillo e Antonio Abate, anch’essa nella chiesa di San Rufillo a Forlimpopoli. Lo scandirsi in sequenza di tali opere rivela la complessità degli interessi culturali del pittore, i cui dipinti successivi, come nota Angelo Mazza, “registreranno con estrema cautela e moderazione le novità dei tempi”. A Zampeschi Luca Longhi consegna inoltre nel 1541 anche la Madonna con il Bambino e i Santi Francesco e Giorgio e il committente che dalla chiesa di San Francesco a Santarcangelo di Romagna è passata al locale Museo civico.

Le pale di Berlino (forse 1532), della Pinacoteca di Brera in Milano (1538) e quella Cavalli di Ravenna (1543) sono state concordemente interpretate, nell’ambito degli studi più recenti, quali episodi del momento culminante dell’attività giovanile del Longhi, e si confermano esempio felicissimo di meditazione ed elaborazione affatto personale sul tema della Sacra Conversazione, i cui precedenti diretti vanno individuati nelle opere di Francesco Francia, in composizioni centralizzate e simmetriche di autori emiliani di inizio secolo come Innocenzo da Imola, o centroitaliani, nelle pale di Rondinelli, nelle calibrate invenzioni di Palmezzano.

Luca Longhi oggi è conosciuto soprattutto per le grandi pale d’altare, ma fin dalla critica a lui coeva gli si riconosceva un notevole talento nel genere della ritrattistica. 

Fra i pochi ritratti dell’artista che ci sono pervenuti, particolarmente apprezzabili sono l’effigie di Raffaele Rasponi, da collocarsi nel sesto decennio del secolo, e quella di Girolamo Rossi (1567) entrambe nella Pinacoteca di Ravenna. La tematica di quest’ultimo dipinto si basa sull’iconografia della Vanitas, un Memento Mori che invita al disprezzo del mondo, contrapposto alla pace e alla gioia della vita ultraterrena. 
Particolare fascino riveste il Personaggio della famiglia Lunardi, della Pinacoteca di Forlì, quasi un’immagine araldica, nel disegno arcaicamente corretto ed esibito in una capillare cura dei dettagli, nel terso, ma un po’ scontato, svariare di ombrate trasparenze. 

Nel 1548 Vasari soggiorna per due mesi a Ravenna per eseguire la Deposizione di Cristo per la chiesa del monastero di Classe. L’incontro con l’artista toscano sembra aver provocato nelle opere del Longhi un aggiornamento nella composizione, non aderendo tuttavia al linguaggio complesso e ornamentale del Vasari, anzi adottando schemi arcaizzanti e raffinati colori sobri, inclini all’espressione di intimismo sentimentale.

In tal senso si possono descrivere le due pale padovane per la chiesa di Santa Maria annessa al monastero benedettino di Praglia. Di queste, la pala raffigurante la Cattura e martirio di Santa Giustina è firmata e datata 1562, l’altra con la Presentazione al tempio, firmata, è databile con relativa attendibilità allo stesso periodo.

Quest’ultima opera replica, con minime varianti, la tavola di eguale soggetto dipinta da Francesco Francia per i benedettini del santuario della Madonna del Monte di Cesena. Nei confronti del prototipo non si riscontrano significativi cambiamenti nella versione longhiana. 

Cappi cita esclusivamente, di questi, ritratti e dipinti di soggetto sacro con l’eccezione, di tipo iconografico, di una Venere, commissionata dal marchese Quaranta Aldrovandi di Bologna, poi acquistata dai conti Ferniani di Faenza e ora rintracciata in collezione privata.
Per analogie di pennellata, composizione, luce e studio anatomico, la contiguità più esplicita è con la Cattura e martirio di Santa Giustina di Praglia. 

Se la quinta rocciosa alle spalle della dea riecheggia ancora quelle dei paesaggi di Palmezzano, alcune soluzioni cromatiche e di paesaggio sembrerebbero prossime a quelle adottate da pittori ferraresi come il Bastianino. L’articolazione delle membra e la compostezza un poco rigida della figura della Venere rivelano un artista attratto da suggestioni oltramontane, che gli pervenivano presumibilmente attraverso la diffusione di incisioni.

Fino ad alcuni anni addietro si riteneva che la Venere dipinta per Quaranta Aldrovandi fosse l’unico dipinto di soggetto profano da lui realizzato. Studi recenti hanno permesso la riscoperta di una Cleopatra, conservata in collezione privata, firmata dall’artista e databile tra il 1560 e il 1570, opera che rivela un influsso da autori cinquecenteschi veneziani, in particolare da stampe di Agostino Veneziano. 

Agli anni Sessanta appartengono alcune importanti opere: si ricordano fra le altre l’Adorazione dei pastori e Cristo deposto con San Benedetto e l’abate di Classe, già nel Monastero di Classe e ora entrambe nella Pinacoteca di Ravenna. Si possono rilevare in queste tavole contatti con la cultura parmense, evidenti soprattutto nell’Adorazione. Nel Cristo deposto si mostra strettamente legato alle espressioni della cultura figurativa centroitaliana, interpretata secondo un’ottica precocemente controriformistica: i modelli vanno ricercati nelle opere di Marcello Venusti e di Marco Pino, note all’artista romagnolo probabilmente attraverso la circolazione di stampe.

In anticipo sulla Resurrezione di Marco Pino nell’oratorio del Gonfalone di Roma, Luca Longhi dipinse la tavola, di analogo soggetto, già nella collezione Ferniani di Faenza e ora nella Pinacoteca Nazionale di Bologna. A parte la notevole ampiezza di dimensioni, il dipinto cattura l’attenzione anche per la complessità dell’azione che vi è rappresentata. A partire dagli anni Sessanta egli riprese, anche per committenze importanti, una vena arcaistica di composizioni e di spunti, come nel dipinto raffigurante La Madonna in trono con il figlio tra i Santi Benedetto, Paolo, Apollinare e Barbara, che, dalla chiesa di Santa Barbara in Ravenna, passò dapprima alla sagrestia di San Vitale, indi nella Pinacoteca cittadina.

Cappi riteneva di identificare nella figura di Santa Barbara il ritratto della figlia del pittore, dal momento che questa portava il nome della santa. L’ipotesi appare verosimile per la somiglianza fisionomica della santa qui rappresentata con la giovane effigiata, in atto di voltarsi, nelle Nozze di Cana del refettorio di Classe a Ravenna, dipinto dallo stesso Longhi. Esiste inoltre una notevole somiglianza anche con la Santa Caterina, opera della stessa Barbara presso la Pinacoteca di Ravenna, che viene considerata come il suo autoritratto.

La grande decorazione murale, eseguita dal Longhi nel suo ultimo anno di vita (morirà infatti il 12 agosto 1580, sepolto nella chiesa di San Domenico) con la collaborazione del figlio Francesco, vide il pittore impegnato in un’impresa di notevoli dimensioni.

La grandiosità dell’impianto permette di confrontarsi con illustri precedenti pittorici: dagli affreschi della scuola riminese giottesca di Santa Chiara o di Santa Maria in Porto Fuori a Ravenna, alla Cena dell’abate Guido nel refettorio dell’abbazia di Pomposa, senza dimenticare la tavola con la Cena di San Gregorio Magno, datata 1540, già in San Michele in Bosco a Bologna, oggi nella Pinacoteca Nazionale. 

Il dipinto ravennate subì molti danni nell’alluvione del 27 maggio 1631, e quello che ne rimane è, purtroppo, soprattutto nella parte inferiore, lacunoso.
Comunque sia, l’opera resta un documento importante perché tra la folla degli invitati al banchetto vi sono numerose personalità della culturale della Ravenna del Cinquecento, quali lo storico Girolamo Rossi, il cavaliere Pomponio Spreti e l’abate Pietro Bagnoli da Bagnacavallo, raffigurato non a caso in quanto committente dell’opera.

 

 

Opere in Pinacoteca

 

 

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